Saggio di curiosità storiche intorno la vita e la società romana del primo trentennio del secolo XIX/Il Palazzo di Venezia - Come passò al Regno Italico

Il Palazzo di Venezia - Come passò al Regno Italico

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Le Campane del Campidoglio Il Carnevale del 1809

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Il Palazzo di Venezia.

Come passò al Regno Italico


Nel dì 16 febbraio 1806 giungeva inaspettata al conte di Kevenhüller, ambasciatore d’Austria in Roma, una lettera così concepita: il Ministro plenipotenziario di S. M. l’Imperatore dei Francesi e Re d’Italia ha l’onore dì prevenire S. E.

Monsignor il Conte di Kevenhuller che ha ricevuto ordine dì prender possesso del Palazzo di Venezia «au nom de S. M. le Roi d’Italie comme propriété comprise dans l’art. 4me du traité de Presbourg où S. M. l’Empereur d’Allemagne et d’Autriche renonce à la partie des états de la république de Venise à lui cédée par le traité de Campoformio et de Luneville». La lettera, munita del sigillo del Cardinal Fesch, terminava annunciando che M. Simeon, segretario di legazione, era stato deputato a compiere le opportune formalità1.

[p. 23 modifica]Non si può immaginare quale penosa impressione producessero queste poche parole al povero ambasciatore! Egli, sapendo pur tròppo che i Francesi non ammettevano repliche, si sentiva sfuggir di mano il bel palcizzo, dove l’Austria aveva sognato d’installare per sempre la sede della sua ambasciata in Roma, ma che poteva egli fare? Si armò allora di tutta l’arte che aveva potuto imparare alla scuola dei gesuiti e s’aifrettò a rispondere che non si opponeva alla richiesta, ma che per il momento si trovava nell’impossibilità di potervi aderire, non avendo ancor ricevuto alcun avviso ufficiale intomo al trattato di pace, e gli era necessario aspettare sino al 21 l’arrivo del corriere. — A questa missiva dell’ambasciatore austriaco il Card. Fesch non dette alcuna risposta ufficiale, ma quando il 2 1 febbraio si vide arrivare un’altra lettera dello stesso con preghiera di nuove dilazioni, il Fesch non volle sentire più ragione ed in data del 24 rimetteva all’ambasciata austriaca una lunga e risentita nota. «Les ordres de sa Cour — così egli scriveva — pour la prise de possession du dit Palais sont fondés su le droit le plus positif qui esclut toute autre négociation à ce sujet. S. M. l’Empereur d’Autriche possédait le Palais de Venise à Rome par le seul titre qui lui fournissaient les Traités de Campoformio et de Luneville; elle a cédé ce droit au Roi d’Italie par le 4° article du traité de Presbourg. Dans ces premiers traités de même que dans ce dernier, il n’est pas question nominativement de ce Palais; les Agens de S. M. l’Empereur en prirent possession dès la remise des États de Venise ce Palais en étant une dépendance. La seule certitude de l’éxistence du traité de Presbourg aurait pû suffire au soussigné pour demander la remise du dit Palais et elle aurait dû tenir lieu d’autorisation à S. E. M. le Conte de Kevenhüller pour ne point s’y refuser. Le droit incontestable qui resulte de ces traités ne laisse plus au soussigné la liberté de différer à prendre possession de ce Palais et il croit que S. E. ne peut refuser d’y adhérer, car la connaissance que l’on a de la remise de Venise faite par le Commissaires Autrichiens aux Commissaires Français, ne doit plus laisser aucun doute sur l’autorisation que S. M. l’Empereur d’Allemagne et d’Autriche a donnée implicitement à son Ministre à Rome de [p. 24 modifica]mettre le Palais de Venise à la disposition de S. M. le Roi d’Italie, puisqu’ on n’a jamais dû penser à donner des instructions pour la remise de chaque dépendance de Venise en particulier. En conséquence le soussigné est forcé par le devoll’ le plus strict à ne plus perdre de temps en vaines négociations sur un objet qui ne peut point en comporter et il est resolu de réclamer l’intervention du S. Siège en cette affaire et en un mot d’employer tous les moyens qu’ il croira convenables pour convrir sa responsabilité et pour éxécuter les ordres qu’il a reçus2».

La lettera non ammetteva più dilazioni, ma il conte non sapeva decidersi al gran passo; egli forse ricordava le noie diplomatiche3 dovute incontrare dall’Austria, dopo la pace di Campoformio, per l’occupazione del palazzo in questione e si sentiva addolorato di doverlo abbandonare così ignominiosamente: e pensava, pensava al modo di uscire da questo pelago, quando il giorno dopo si vide recapitare una patetica nota del Cardinal Consalvi, Segretario di Stato; il Cardinal Fesch gli aveva scritto mettendolo a giorno della controversia e pregandolo ad interporre i suoi buoni uffici per la liquidazione della vertenza, poiché in caso contrario si sarebbe trovato costretto ad adoperare tutti i mezzi possibili per far eseguire gli ordini ricevuti.

Il Papa, diceva l’accorto Segretario nella sua nota sopra ricordata, non crede di sua competenza l’entrare a discutere sul fondo della questione, ma, nel vivo interesse di allontanare ogni possibile oggetto di contestazioni e di disgustosi avvenimenti, si permetteva di far notare a S. E. l’ambasciatore di Austria che gli ordini dati al suo Ministro da S. M. l’Imperatore dei Francesi e Re d’Italia, con tanta insistenza, sulla presa di possesso del palazzo, facevano supporre fondatamente che fossero passati degli accordi sull’oggetto fra le due corti e che in queste riflessioni egli poteva trovare [p. 25 modifica]delle ragioni sufficienti per non fare opposizioni. «Ma gli sembra ancora, aggiungeva più mestamente, che un titolo per non fare opposizioni, possa V. E. in modo speciale trovarlo nel riflesso di risparmiare al cuore della Santità Sua quelle grandi amarezze che risulterebbero dagli avvenimenti, ai quali, com’è indicato nella nota dell’Em.mo Signor Card. Fesch, condurrebbe l’opposizione dell’Eccellenza Vostra, amarezze le quali non potrebbero non essere sensibilissime alla medesima Santità Sua4».

L’elegia terminava con un augurio ed una speranza.

Il Ministro austriaco restò a lungo a meditare sopra la nota pontificia e finalmente, preso il coraggio a due mani, si decise. In data del 28 febbraio rispondeva al Segretario di Stato che egli non s’era mai opposto alla presa di possesso del Palazzo, ma che aveva soltanto chiesto del tempo per aspettare le necessarie istruzioni; tuttavia in attestazione del suo intenso attaccamento al Santo Padre «desiderando di prevenire i disturbi della Sua tranquillità, egli s’asterrà da ulteriori opposizioni alla presa di possesso, ma dichiara che non prenderà alcuna parte agli atti, non volendo pregiudicare lo stato della questione5».

Il Consalvi, badando più al fatto in sè che alla forma, tutto contento del trionfo riportato, ne ringraziò diffusamente il di Kevenhüller a nome suo e del Papa, assicurandolo che nelr esecuzione resterebbero illesi i riguardi dovuti alla dignità del Suo Augusto Sovrano; poscia, ragguagliando il Fesch del risultato dei suoi uffici, si mise con lui d’accordo per la presa di possesso.

Ad un’ora di notte del 1° marzo 1806 il bel palazzo di Venezia diveniva proprietà del Re d’Italia e l’ambasciata austriaca, costretta a sloggiare, passava al palazzo Ercolani. Il Consalvi stesso in una sua lettera in data del 2 marzo al Severoli, legato in Vienna, così ci narra l’avvenuto: «Ieri sera questa (la presa di possesso) ebbe luogo coli’ essersi di [p. 26 modifica]notte tempo posta dall’Em.mo Ministro in una parte del Palazzo l’Arme del Re d’Italia, senza però rimuovere le armi Austriache sopra i due portoni, e con essersi inviato dall’Eccellentissimo Fesch il suo Segretario di Legazione con un notaro a fare in una stanza del Palazzo il processo verbale della presa di possesso senza però l’intervento del signor Conte di Kevenhüller6». Il glorioso palazzo di S. Marco passò così a dipendenza del Regno italico e nel 1815 ne divise la triste sorte.


Note

  1. Archivio di Stato di Roma. — Miscellanea di carte politiche e riservate. N. 136
  2. Archivio di Stato id.
  3. Vedi Giornale d’Italia. 1° febbraio 1905 — Dino Mantovani«Come il palazzo di Venezia divenne proprietà dell’Austria»
  4. Archivio di Stato id.
  5. Archivio di Stato id.
  6. Archivio di Stato id.