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delle ragioni sufficienti per non fare opposizioni. «Ma gli sembra ancora, aggiungeva più mestamente, che un titolo per non fare opposizioni, possa V. E. in modo speciale trovarlo nel riflesso di risparmiare al cuore della Santità Sua quelle grandi amarezze che risulterebbero dagli avvenimenti, ai quali, com’è indicato nella nota dell’Em.mo Signor Card. Fesch, condurrebbe l’opposizione dell’Eccellenza Vostra, amarezze le quali non potrebbero non essere sensibilissime alla medesima Santità Sua1».
L’elegia terminava con un augurio ed una speranza.
Il Ministro austriaco restò a lungo a meditare sopra la nota pontificia e finalmente, preso il coraggio a due mani, si decise. In data del 28 febbraio rispondeva al Segretario di Stato che egli non s’era mai opposto alla presa di possesso del Palazzo, ma che aveva soltanto chiesto del tempo per aspettare le necessarie istruzioni; tuttavia in attestazione del suo intenso attaccamento al Santo Padre «desiderando di prevenire i disturbi della Sua tranquillità, egli s’asterrà da ulteriori opposizioni alla presa di possesso, ma dichiara che non prenderà alcuna parte agli atti, non volendo pregiudicare lo stato della questione2».
Il Consalvi, badando più al fatto in sè che alla forma, tutto contento del trionfo riportato, ne ringraziò diffusamente il di Kevenhüller a nome suo e del Papa, assicurandolo che nelr esecuzione resterebbero illesi i riguardi dovuti alla dignità del Suo Augusto Sovrano; poscia, ragguagliando il Fesch del risultato dei suoi uffici, si mise con lui d’accordo per la presa di possesso.
Ad un’ora di notte del 1° marzo 1806 il bel palazzo di Venezia diveniva proprietà del Re d’Italia e l’ambasciata austriaca, costretta a sloggiare, passava al palazzo Ercolani. Il Consalvi stesso in una sua lettera in data del 2 marzo al Severoli, legato in Vienna, così ci narra l’avvenuto: «Ieri sera questa (la presa di possesso) ebbe luogo coli’ essersi di