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notte tempo posta dall’Em.mo Ministro in una parte del Palazzo l’Arme del Re d’Italia, senza però rimuovere le armi Austriache sopra i due portoni, e con essersi inviato dall’Eccellentissimo Fesch il suo Segretario di Legazione con un notaro a fare in una stanza del Palazzo il processo verbale della presa di possesso senza però l’intervento del signor Conte di Kevenhüller1». Il glorioso palazzo di S. Marco passò così a dipendenza del Regno italico e nel 1815 ne divise la triste sorte.


Il carnevale del 1809.


Dopo i grandi avvenimenti della rivoluzione francese e e della repubblica romana le feste del carnevale, un giorno in Roma sì chiassose, erano cessate quasi d’un tratto; nel 1805 però, quando tutto il mondo tornò in pace, quando fu assicurata la supremazia della Francia e Roma tornò a rigurgitare dì italiani e stranieri, desiderosi di divertimenti, il carnevale risorse glorioso con tutto il suo fasto2 ma fu una semplice riapparizione. Tosto comparvero nuovamente all’orizzonte le lunghe guerre e tutti ritornarono muti nel pensiero dell’incerto e tenebroso domani. Nell’anno dopo le truppe francesi occupavano le Marche ed, avanzandosi sempre più, il 2 febbraio 1808 occupavano anche Roma, costringendo il Governo, che restava ancora in piedi per ischemo, ad imporre balzelli sopra balzelli per il loro mantenimento, e nessuno più in Roma, in tali tristi contingenze, poteva pensare a divertirsi. I Francesi, che vi si erano stanziati, certo avrebbero desiderato di assistere a quelle famose feste del Carnevale, di cui forse era giunto anche alle loro orecchie qualche eco lontana, ma il 20 febbraio e tutti gli altri giorni del Carnevale del 1808 passarono in quell’anno inosservati. Il generale Miollis, comandante delle truppe fran-

  1. Archivio di Stato id.
  2. II nostro Diarista ci ha lasciato una lunga relazione delle feste di questo carnevale ma non credo opportuna riportarla; chi ne desideraste una descrizione, legga a questo proposito: SilvagniLa corte pontificia e la società romana nei secoli XVIII e XIX — vol. 2° pag. 49 e segg.