Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Alerico con un piccolo avanzo di spada in mano e Rosmonda.

Alerico. Siam perduti, Rosmonda; ecco il nemico

Che ci giunge alle spalle; ecco smarrita
La via della vendetta. Il ferro stesso
Mi tradì nel cimento. Ombra diletta
Dell’estinto mio figlio, ah se non posso
Darti sangue nemico, accogli questo
Sangue innocente. (vuol ferir Rosmonda
Rosmonda. Oh Dei! Padre, che tenti?
(si ritira dal colpo
Alerico. Figlia, non impedirmi un’opra degna
Del tuo, del mio valor. Pria che Germondo
Giunga superbo a trionfar di noi,

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Moriam, figlia, moriamo. A caso il cielo

Questo non mi lasciò misero avanzo
Del temuto mio brando. Entro al tuo seno
Lascia pria ch’io l’immerga, indi nel mio.
Rosmonda. Questa vita, signor, che a me tu desti,
Puoi ritogliermi ancor. No, non ricuso
Versar per te, s’uopo lo chieda, il sangue.
Ma per pietà, scampo sperar non lice
Oltre una disperata atroce morte
Senza vendetta?
Alerico.   E in che sperar poss’io?
Eccomi solo, abbandonato e in odio
Agli uomini e agli Dei...
Rosmonda.   Farò io stessa
Al furor de’ nemici argine e scudo.
Salvati, non temer; sai che Germondo
Per me avvampa d’amor.
Alerico.   Lo so pur troppo;
Anzi solo per te la guerra ei fece;
E ora dandoti morte, io tolgo a lui
Il trionfo maggior di sue vittorie.
Rosmonda. Non temer che di me l’empio trionfi.
Con troppa gelosia serbo nel seno
Custodita virtù.
Alerico.   Misera figlia,
Prigioniera sarai.
Rosmonda.   Ma ancor fra’ lacci
Vendicarti saprò.
Alerico.   Del vincitore
Non paventi il rigor?
Rosmonda.   So ch’egli mi ama.
Alerico. Dunque incauta vorrai con il tuo volto
Comprar la vita?
Rosmonda.   Io vuo’ per vendicarmi
Tempo acquistar. Saprò morir, ma quando

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Salvo te miri. Oh Dei! Giunge il nemico;

Celati, per pietà.
Alerico.   Tutta d’armati
Circondata è la reggia.
Rosmonda.   In fra que’ marmi
Nasconditi, signor.
Alerico.   Ma poi?...
Rosmonda.   Rosmonda
Veglia alla tua salvezza.
Alerico.   Ah figlia, io temo
Più vergognoso il fin.
Rosmonda.   Paventi invano;
Conosci il mio valore.
Alerico. Amato figlio, (al simulacro d’Attilio
L’onor tuo, l’onor mio, la tua vendetta
Salva nella mia vita, e tu, Rosmonda,
Pensa che sei mia figlia.
(si nasconde dietro il simulacro d’Attilio

SCENA II.

Rosmonda, poi Germondo, Cratero, e soldati; Alerico nascosto.

Rosmonda.   Ah, nel grand’uopo

Assistetemi voi, numi del cielo!
Taccia quello d’amante, ove favella
L’amor di padre. Di Germondo in volto
Sol si scorga il nemico, e tu, mio core,
Consacra alla vendetta i dolci affetti.
Germondo. Veglia, Cratero, in mia difesa e solo
Lasciami con colei ch’è la mia vita.
(piano a Cratero
Cratero. M’aggirerò co’ tuoi guerrier qui intorno
Alla reggia sospetta. (si ritira con li soldati

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Germondo.   Alfin ti miro,

Rosmonda, idolo mio...
Rosmonda.   Scostati, audace.
Così parli a Rosmonda?
Germondo.   Ahimè! qual ira?
Mia nemica tu pure? In fiero sdegno
Hai cangiato l’amor?
Rosmonda.   Per me risponda
Quel tuo brando crudel di sangue tinto.
Germondo. Ti è noto pur, ch’io l’impugnai soltanto
Per conseguir della tua destra il dono.
Non fu superba avidità di regno,
Non desio di vendetta, o sdegno insano
Ch’alla guerra mi spinse. I tuoi begli occhi,
Il tuo volto, il tuo cor fu...
Rosmonda.   Menzognero!
Dimmi, fu amor quel che del mio germano
Ti fe’ spargere il sangue?
Germondo.   Ei cadde estinto
Fra la turba de’ suoi misto e confuso,
E san gli Dei se il suo destin m’increbbe,
Ch’era degno l’eroe di miglior sorte
E di padre miglior.
Rosmonda.   Ma tante e tante
Vittime consacrate al tuo furore
Sono effetti d’amor?
Germondo.   Decise il fato
A favor di nostr’armi.
Rosmonda.   E il regno usurpi
A colei che tu adori?
Germondo.   A offrirti io vengo
Anzi un regno maggior, se noi ricusi.
Tu di Gotia non men che di Norvegia
Sarai regina.
Rosmonda.   E il padre mio?

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Germondo.   Conosca

Da te la sua fortuna.
Rosmonda.   E il mio germano?
Germondo. Egli in pace riposa.
Rosmonda.   Osserva, osserva,
Che freddo marmo ancor palpita e freme
Dinanzi a te; con quella bocca istessa
Che gli apristi nel sen, chiede vendetta.
Ombra infelice a me s’aggira intorno
E dir l’odo; Germana, il mio uccisore
È colui che ti parla. Olà, dagli occhi
Toglimi il volto tuo. Vanne, superbo,
Non isperar che l’odio mio si cangi,
Se placata non fia l’ombra d’Attilio.
Germondo. Oh di padre crudel figlia spietata,
Sì, tu vuoi la mia morte; odio protervo,
Non desio di vendetta è quel che nutri
Contra di me. Tu m’ingannasti allora
Che fingesti d’amarmi.
Rosmonda.   (Ah ti conosco,
Perfido amor; tu mi serpeggi in seno,
Ma vincerti saprò. Farò uno sforzo
Di crudeltà per superarti). (da sè
Germondo.   Eppure
Mi chiamasti tuo bene; eppur la fede
A me desti di sposa.
Rosmonda.   (Ahi rimembranza,
Che mi desta nel sen pietà importuna!
Dolce nome di sposa, ah sì, ti sento
Che sedur mi vorresti). (come sopra
Germondo.   Anima mia,
Non ostentar del tuo bel core ad onta
Questa ingrata fierezza; eccomi, o bella,
Eccomi a’ piedi tuoi. Pietà ti chiedo,
Perdon, mercè; pietà del mio dolore,

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Perdon dell’ira mia, mercè di tanta

Sventurata costanza. I tuoi begli occhi
Volgi a mirare un vincitor prostrato,
Un monarca che prega.
Alerico.   Eterni numi,
Reggete il colpo; il traditore è al varco.
(Va per ferir Germondo colla mezza spada. In questo Cratero con
soldati e detti.


Cratero. Ferma, crudel.
(Per di dietro ferma il braccio d‘ Alerico, e gli leva la mezza spada.
Alerico.   Sorte spietata!
Rosmonda.   Oh stelle!
Germondo. Barbaro, traditor, quest’è la fede,
Quest’è il valor, quest’è la via inumana
Per cui tenti, crudel, la tua vendetta?
Tra que’ marmi nascosto, alla mia morte
Con insidie aspirar?
Alerico.   Sì, la tua morte
Fu l’unico mio voto. In campo armato
La procurai fra mille spade invano.
Ma che più far potea? Mi tolse il fato
La metà del mio brando. I miei guerrieri
S’avviliro, e fuggir. Qual’altra via
Mi restava opportuna alla vendetta
Fuorchè coglierti al varco? Il ciel talvolta
Salva gli scellerati, alla sua destra
Riserbando il punirli, e s’ei ti trasse
Dal destin de’ miei colpi, attendi, attendi
Un fulmine maggior che ti punisca.
Rosmonda. (Ahimè, troppo l’irrita). (da sè
Germondo.   Ah se mi sdegno,
Non parlerai così.
Cratero.   Vendica, o Sire,
I torti tuoi; un tradimento orrendo

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Non lasciar impunito.

Germondo.   Or va, Cratero,
Fa che Aranna si renda e i duci suoi.
Cessin le stragi i miei guerrieri. Io voglio
Triegua ai vinti donar.
Cratero.   Volo a ubbidirti. (parte

SCENA III.

Alerico, Germondo, Rosmonda, soldati.

Germondo. Alerico, sei vinto e innanzi agli occhi

Vedi il tuo vincitor; lo vedi offeso,
Insidiato, tradito e dal tuo sdegno
Ammaestrato a divenir feroce.
Sta in mia mano il punirti e far che sia
Preceduto da mille aspri tormenti
L’estremo dì che ti riman di vita.
Barbaro, osserva di Rosmonda in volto
La tua fortuna. Il mio furor disarma
La sua beltà; sagrifico a que’ lumi
La mia giusta vendetta.
Alerico.   E puote un volto
Tanto sovra il tuo cor, ch’il corso arresti
Per bellezza inimica a tue vittorie?
Questa tua debolezza io viltà chiamo,
Non pietà, non amore.
Germondo.   Io compatisco
In te l’aspro dolor che ti fa cieco.
Misero re! non hai di re ch’il nome:
E fama e regno e libertà perdesti;
E la vita che godi e la speranza
Ch’or ti riman, di mia clemenza è un dono.
Alerico. E regno e libertà mi tolse il fato,
E la vita levar mi puoi tu stesso,
Ma la fama non già; le mie vittorie,

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Le mie onorate gloriose imprese

Scemar di pregio a tuo voler non ponno.
Altri ch’un empio, disleale, infido
Vincermi non potea, dopo d’avermi
Giurata eterna l’amistà, la fede.
Chi creduto avria mai ch’il re Germondo,
Dopo que’ tanti benefici e tanti
Ond’io lo resi al settentrion temuto1 O,
Contro l’amico suo volger potesse
Gli stessi benefici e fargli oltraggio?
Dell’averti difeso il patrio regno
Contro Svezzi e Danesi e contro ai Sciti
Sarà mercè l’avermi ucciso un figlio?
Io, per cui tu sei re (che noi saresti
Senza l’aiuto mio), io dovrò dunque
Per le tue stesse man perdere il regno?
Anima ingrata, abbominando core!
Rosmonda. Tutto ancor non dicesti: egli è colui
Che i miei affetti violentare ardisce:
Quell’amante superbo (a dirlo io tremo)
Che può offrirmi una destra ancor fumante
Del sangue d’un germano, e vuol che siano
Le pompe nuziali e stragi e morti.
Germondo. Alerico, di me ti lagni a torto.
Non mi scordo i tuoi doni, e tu rammenta
Quanto feci per te. Non ti sovviene
De’ Vandali, de’ Russi e de’ Poloni
La guerra a te fatal? Chi ti sottrasse
Dal furor di tant’armi? Io fui che ardito
Co’ miei Norvegi e co’ Svedesi in lega
I tuoi nemici discacciai di Aranna,
E assicurai della tua Gotia il regno.
Allora fu che di Rosmonda il volto
Si offerse agli occhi miei. Fu allor ch’in seno

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Sì bella fiamma amor destemmi, e allora

A volerla in isposa il cor m’indusse.
La chiesi a te, tu la negasti, e quale
Ragion, barbaro, avesti onde negarla
Giustamente ad un re? Non era il nodo
Degno forse di te? Parla, rispondi.
Alerico. Al principe de’ Russi avea promessa
La destra sua; pegno di nostra pace
Fu Rosmonda fra noi; nè sa Alerico
Mancar di fè.
Germondo.   Dunque antepor ti piacque
Un nemico all’amico. Io lo costrinsi
A chiederti la pace, e tu vorrai
A lui dar la mercede a me dovuta?
Ah vedi chi è l’ingrato e chi fu il primo
A tradir l’amicizia.
Alerico.   E tu dovevi
L’amorosa follia portar tant’oltre
Che ti fesse scordar de’ sagri patti?
Germondo. Orsù, cedano omai le gare e l’onte,
E ritorni fra noi l’antica pace.
Sia mia Rosmonda e a te rimanga il regno.
Alerico. Pria che tua sia Rosmonda, il sommo Giove
Tutti i fulmini suoi vibri al mio capo.
D’empio Dite le furie e di Cocito
Vengano tutte a lacerarmi il seno;
E l’alma uscita dalla fragil spoglia
Negli Elisi non trovi il suo riposo.
Mi oda l’ombra d’Attilio e m’odan tutte
Del cielo, della terra e degli abissi
Le tremende deità. Perpetuo io giuro
Odio al re di Norvegia, e tu, superbo,
Non ti vantar dall’odio mio sicuro;
Cangierà l’empia sorte e veder spero
Temer del vinto il vincitore audace. (parte

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SCENA IV.

Rosmonda, Germondo e soldati.

Germondo. Minaccie al vincitor? Minaccie a quello

Nelle cui man sta la sua vita? Incauto!
Rosmonda, or più del genitor furente
Non ti regge l’orgoglio. In mio potere
Ti guidaro le stelle; e or che siam soli,
Parlar potiam dell’amor nostro antico,
E rinnovar gli affetti e ’l dolce nome
D’amanti tramutare in quel di sposi.
Tu m’oltraggiasti, è ver, tu me dicesti
A torto infido e ti sdegnasti a torto.
Tutto però mi scordo, e tutto io dono
D’una figlia al dover. So che consigli
Questi fur d’Alerico, e so che mi ami.
Rosmonda. No, non ti amo, crudele; a mia vergogna
Ben mi rammento averti amato un giorno,
Ma t’amai quando io ti scorgea nel volto
Qualche segno d’eroe. T’odio, t’abborro,
Or che sei traditor.
Germondo.   Deh questo nome,
Cara, a me non ridir. Quando tradita
Fosti tu da Germondo? Altri ch’amore
Non armò la mia destra. Il troppo amarti
Mi condusse al cimento. Era in arbitrio
Del voler delle stelle il mio destino;
Potea perdere anch’io la vita e il regno.
Io non tramai al tuo german la morte
Dietro un sepolcro; io non cercai vendetta
Con inganno o con frode. In campo armato
Venni e pugnai; la sorte al giusto amica
Decise in mio favor. Dimmi, Rosmonda,
Puoi chiamar mia vittoria un tradimento?

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Rosmonda. A semplice cotanto or non favelli

Che più dentro non vegga il tuo pensiero.
Fu l’amore il pretesto onde copristi
L’avidità di conquistare un regno.
Germondo. Se tal nutro desio, chi mi consiglia
Le tue nozze a bramar? Discior da’ lacci
Alerico superbo e ceder tutte
Per te sola ottener le mie conquiste?
Rosmonda. Ti consiglia il timor; cauto paventi
Di soverchio irritare i soggiogati
Popoli della Gotia; ora pietade
Mostrando or tenerezza or dolce impero,
Addormenti la plebe, e al nuovo giogo
Avvezzar tenti i cittadini oppressi.
Germondo. Troppo mal pensi, e raccapriccio come
Giunga a tal sottigliezza il tuo pensiero.
Mi puniscan gli Dei, se tai desiri
Nacquer mai nel mio cor. T’amai, ti adoro,
Pugnai per tua cagion, vinsi al tuo nome,
Te sol, bella, desio, tutto ti lascio
E padre e regno, e cittadini e amici.
Rosmonda. Ma il german non mi rendi.
Germondo.   In di lui vece
T’offro il mio core.
Rosmonda.   Io non ricuso il cambio,
Ma strappato dal sen; ma offrirlo io voglio
In olocausto al glorioso, invitto
Simulacro d’Attilio, ond’abbia alfine
Sangue per sangue, e il tuo morir dia pace
All’ombra mesta invendicata, errante.
Germondo. Sì barbara con me? Rosmonda, io voglio
Donar tempo al tuo duol. Pensa, risolvi.
Non ti lasciar dal genitor sedurre.
Vedrai, se dritto miri, esser ingiusto
Contro me tanto sdegno, e se rifletti

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Al tuo stato, al tuo regno, ai tuoi perigli,

Miglior uso farai di mia pietade. (parte


SCENA V.




Rosmonda sola.



Alfin partì: se più seguia Germondo,
Resister non potea. Numi del cielo,
Scopriste mai co’ vostri eterni lumi
Duolo simile al mio? Dover di figlia,
Tenerezza d’amante, odio ed affetto
Combattono il mio cor; ti amo pur troppo,
Mio diletto Germondo, e se ti chiamo
Nemico, traditor, barbaro, infido,
Lo fo col labbro, ma non mai col core.
Ma il genitor... ma il mio germano ucciso
M’inducono a svenar fiera nel seno
Un affetto innocente! E che direbbe
Gotia, Norvegia, il settentrione, il mondo2
Della mia debolezza? Ah! non fia vero
Che prevalga l’amore al giusto sdegno.
Ombra del mio german che qui t’aggiri,
Sangue del genitor che in sen mi scorri,
Non temete di me; vedrete quanto
Io sia degna di voi. L’età venture
Stupiranno in udir che a tal virtude
Donna sia giunta, e a superar se stessa...
Ma quai gridi? Qual’armi? Oh Dei! non cessa
Il furor de’ nemici! Oh tutelari
Numi di questo Regno, il braccio vostro
Freni l’ardir de’ vincitori audaci! (parte

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SCENA VI.

Vengono combattendo alcuni Goti contro altrettanti Norvegi; si sviano questi per la scena; indi escono Stenone e Cratero, poi Alvida.
Cratero. Olà, cedi quel ferro.

Stenone.   Invan lo chiedi.
D’Alerico in difesa impugno il brando,
Nè il deporrò fin ch’avrò spirto in seno.
Cratero. Alerico è già vinto.
Stenone.   Ancora io posso
Vendicare il mio re.
Cratero.   T’inganni, audace.
Cedimi, o morirai.
Stenone. Non cadrò solo. (combattono
Alvida. In periglio Cratero? Ah trattenete,
Generosi campioni, il brando invitto.
Stenone. (Numi! Alvida, il mio ben?) (da sè
Cratero.   Perchè t’arresti?
Stenone. (Amor vil non mi renda). Eccomi...
Alvida.   Ingrato,
Quest’è amor, quest’è fè? Così eseguisci
D’Alvida un cenno?
Stenone.   (Oh Dei!) (da sè
Cratero.11 Deh, lascia omai
Che decida la spada il destin nostro. (ad Alvida
Stenone. (Stelle, che fo?) (da sè
Alvida.   Seguite, io spettatrice
Della pugna sarò; darò qual merta
All’indiscreto vincitor la lode.
Cratero. Se più tardi, è viltà. (a Stenone
Alvida.   Se non t’arresti, (allo stesso
Un’anima plebea chiudi nel seno.
Stenone. Supplichevol beltà non parli invano,
Differisco il cimento.

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Cratero.   A un vago volto

La tua gloria posponi? Anima vile,
Rimanti pure. Io farò noto al mondo
Di Stenone il valor. (parie

SCENA VII.

Stenone e Alvida.

Stenone.   Ma pria, superbo,

Ti svenerò... (in atto di seguirlo
Alvida.   T’arresta.
Stenone.   Ah no, mi lascia
Riparar l’onor mio.
Alvida.   Per questo seno
Prima passi il tuo ferro.
Stenone.   Oh Dei! cotanto
Di Cratero ti cale?
Alvida.   È mio germano.
Stenone. Cara, potrò sperar dal tuo bel core
Qualche pietà se l’ira mia raffreno?
Alvida. Da qual fonte deriva il fier tuo sdegno?
Che ti fece Cratero, e quale hai sete
Del suo sangue innocente?
Stenone.   Egli è seguace
Del nemico Germondo; egli è degli empi
Uccisori d’Attilio, il di cui sangue
Vendicare si dee.
Alvida.   Barbaro vanto
D’empi mortali! Crudeltade indegna,
Odiosa al cielo, alla natura, al mondo!
Una sol vita ha da costar più vite
Di miseri innocenti? A poco sangue,
Tanto sangue conviensi? Alfin che giova
La ria vendetta all’infelice estinto?

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Se lo sdegno crudel non ti acciecasse

Lo scorgeresti da’ beati Elisi
Gridar: donate all’uccisor perdono.
L’indegna avidità del sangue altrui,
La ferocia natia, l’odio protervo
Arma agli empi la destra, e giova poi
Coll’odioso nome di vendetta
Fingersi gloria i tradimenti e l’onte.
Va pur, barbaro, vanne; io non potrei
Mirarti senza orror. (in atto di partire
Stenone.   Fermati, o cara,
Non è senza pietade il seno mio.
Tu mi disarmi e se pugnai finora
Servendo al mio signor, sarò campione
Solo de’ tuoi begli occhi.
Alvida.   Ora a piacermi
Incomincia Stenone. Ora poss’io
Del mio amor lusingarti. Ah se tu m’ami,
Vanne e di tua pietà l’illustre esempio
Altrui proponi ed abbian fin le stragi.
Stenone. Mio cuor reggon tuoi cenni; ad ubbidirti
Sollecito n’andrò. Deh...
Alvida.   Mal risponde
Al sollecito core il tardo piede.
Stenone. Se di me trionfasti, ah le tue leggi
Meco non sian di vincitor crudele.
Imponi pur, t’obbedirò, ma pensa
Ch’ogni fido servir mercede aspetta. (parte

SCENA VIII.

Alvida sola.

Il tuo folle servir l’aspetta invano.

Doppio amor qui mi guida: amor di sangue
A Cratero mi unisce, e per Germondo

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Un più tenero affetto il cor mi punge.

Ma Rosmonda sol ama il mio tiranno,
Nè gli cale di me, nè del mio foco.
Ma che? non son io quella il cui sembiante
Tutte sa l’arti di trionfar sui cori?
Pongasi dunque mia virtude in uso,
Ed ora le lusinghe ed ora i prieghi
Ed ora il pianto adoperando e i vezzi.
Mi ami Germondo e la rival perisca.



Fine dell’Atto Primo.

  1. Così nell’unico testo dell’ed. Zatta.
  2. Così nel testo.