Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/121


ROSMONDA 119

SCENA VI.

Vengono combattendo alcuni Goti contro altrettanti Norvegi; si sviano questi per la scena; indi escono Stenone e Cratero, poi Alvida.
Cratero. Olà, cedi quel ferro.

Stenone.   Invan lo chiedi.
D’Alerico in difesa impugno il brando,
Nè il deporrò fin ch’avrò spirto in seno.
Cratero. Alerico è già vinto.
Stenone.   Ancora io posso
Vendicare il mio re.
Cratero.   T’inganni, audace.
Cedimi, o morirai.
Stenone. Non cadrò solo. (combattono
Alvida. In periglio Cratero? Ah trattenete,
Generosi campioni, il brando invitto.
Stenone. (Numi! Alvida, il mio ben?) (da sè
Cratero.   Perchè t’arresti?
Stenone. (Amor vil non mi renda). Eccomi...
Alvida.   Ingrato,
Quest’è amor, quest’è fè? Così eseguisci
D’Alvida un cenno?
Stenone.   (Oh Dei!) (da sè
Cratero.11 Deh, lascia omai
Che decida la spada il destin nostro. (ad Alvida
Stenone. (Stelle, che fo?) (da sè
Alvida.   Seguite, io spettatrice
Della pugna sarò; darò qual merta
All’indiscreto vincitor la lode.
Cratero. Se più tardi, è viltà. (a Stenone
Alvida.   Se non t’arresti, (allo stesso
Un’anima plebea chiudi nel seno.
Stenone. Supplichevol beltà non parli invano,
Differisco il cimento.