Rivista di Scienza - Vol. II/Il momento scientifico presente
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È trascorso ormai più che un trentennio dacchè in Palermo si tenne l’ultimo Congresso degli Scienziati Italiani. Come la mitica valchirie, la nobile istituzione dopo il lungo sonno si desta e saluta il sole nuovo che le splende dinanzi.
Nel periodo da allora trascorso le condizioni materiali e morali d’Italia si sono profondamente modificate, mentre il pensiero scientifico universale si è svolto e maturato in modo rapido e sicuro. L’insieme dei fatti scientifici nuovi manifestatisi in questo pur così breve lasso di tempo ha rinnovellato, in una con le abitudini della vita, l’indirizzo generale della cultura, ed ha sviluppato e consolidato un sentimento tutto nuovo, moderno e originale, che chiamerei sentimento scientifico, il quale domina beneficamente la nostra epoca, come altre forme non meno universali di sentimento hanno dominato in epoche passate. Questo sentimento, che ormai pervade ogni manifestazione di vita sociale, patrimonio così dei grandi come degli umili, è frutto della genialità degli spiriti più eletti a cui si devono le grandi scoperte e le grandi idee, e della feconda attività pratica della intera società odierna, che indefessamente le applica. Alla sua opera animatrice si deve oggi il risveglio delle più sane e vitali energie. È desso il giovine eroe al cui appello risorge anche l’antica nostra Associazione.
Si può affermare che il concetto della scienza ed il valore di essa presso il pubblico sono oggi profondamente cambiati rispetto solo ad un mezzo secolo fa.
Infatti le più moderne scoperte, quelle stesse a cui la maggior parte della nostra generazione ha assistito, furono viste da tutti (a differenza di quel che avveniva più frequentemente pel passato) nascere e svilupparsi nei gabinetti scientifici e di qui diffondersi nelle officine e invadere il campo della vita pratica.
Perciò il momento storico che attraversiamo ci colpisce con lo spettacolo della moltitudine che, affascinata da quelle invenzioni, che in poco tempo furono fonte di tanto benessere e di tanta ricchezza e influirono così profondamente sui costumi e sulla coscienza sociale, cerca di impossessarsi delle verità scientifiche nel loro insieme, conoscerle nei particolari e, quel che più preme, attende dalla scienza il progresso materiale e morale.
È forse questo stato d’animo di attesa, caratteristico dell’epoca presente, ciò che più alimenta il sentimento a cui ho alluso.
Cercherò di caratterizzare quanto ho affermato con un confronto a tutti famigliare: il confronto che si può istituire fra lo sviluppo delle macchine a vapore e quello delle macchine elettriche.
Storicamente l’uso delle prime ha preceduto l’uso delle altre; infatti il diffondersi delle applicazioni pratiche elettriche e il conseguente trasporto dell’energia è, come tutti sanno, opera dell’ultimo trentennio.
Watt e Stephenson erano due pratici, che col loro genio sono assurti dall’officina all’accademia delle scienze ed all’alta industria; essi attestano che, almeno nel periodo eroico di creazione delle macchine a fuoco, fonte dei più ingegnosi e famosi trovati fu l’officina stessa. Solo in seguito la scienza, scrutando il funzionamento delle macchine industriali, costruì quel mirabile monumento che accoglie tutti i fenomeni della natura e li domina con i concetti della termodinamica.
Fu il contrario per l’elettricità.
La pila già pronta per le sue svariate applicazioni procede direttamente dal laboratorio di fisica dell’Università di Pavia. Faraday col principio dell’induzione getta le basi di tutte le applicazioni elettriche, dalla dinamo al telefono. L’anello di Pacinotti, il campo rotante di Galileo Ferraris, la scoperta delle onde elettriche sono frutto di studi dei gabinetti scientifici.
In breve, mentre la scoperta delle macchine termiche fu il punto di partenza di tante ricerche teoriche, fu invece la elettrodinamica teorica che direttamente creò le varie e meravigliose applicazioni della elettricità.
In questo caso, come in tanti altri, la storia delle parole riassume e rispecchia quella di una lunga e lenta evoluzione di idee. Così la temperatura, che originariamente fu una vaga e rozza espressione delle condizioni atmosferiche, a poco a poco si concretò e determinò scientificamente, fino ad esser concepita dalla termodinamica come il fattore integrante d’una espressione differenziale. Invece il concetto di potenziale, che con i sottili procedimenti del calcolo integrale Laplace creò in meccanica celeste, fecondato poscia dalla mente di Gauss, trapiantato dal genio di Green nel campo della elettrostatica, introdotto da Kirchoff in elettrodinamica, doveva venire ai nostri giorni, col nome di voltaggio, trasportato dalle bocche dei più umili lavoratori in ogni più lontana e remota plaga, fin dove una lampadina elettrica brilla la notte in un povero villaggio.
Così, discendendo in ogni categoria di persone ed ovunque diffondendosi, giovandoci ed aiutandoci in ogni circostanza dell’esistenza, ravvivando ed intensificando tutta la nostra vita, le applicazioni elettriche ci mostrano ad ogni istante (come nulla potè più assiduamente ed efficacemente farlo finora) la potenza della ricerca scientifica e la utilità delle più astratte meditazioni.
Mentre in tal modo si è stabilita una corrente continua che unisce la vita pratica e quella scientifica, per naturale corrispondenza e per virtù intima di cose, coloro che fanno professione di scienza si sono sentiti attratti verso la moltitudine degli uomini; la loro esistenza non resta chiusa nei laboratori e nei gabinetti di studio, essi si sentono costretti a porsi in contatto intimo e quotidiano con la società ed a partecipare alla vita che agita il mondo.
Così anche la fisonomia dello scienziato moderno si è grandemente mutata rispetto a quella del dotto di pochi anni fa.
La mente, per stabilire un confronto che caratterizzi due tipi spiccatamente opposti, si volge verso due uomini sommi, i quali hanno abbracciato con il loro genio tutto il mondo fisico: Gauss e Lord Kelvin.
L’uno, che meditò solitario cinquanta anni, non avvicinato nè avvicinabile, nella modesta Gottinga, dando alla luce solo ciò che ritenne compiuto e perfetto, mentre serbò gelosamente celati, o confidò in segreto a stretti amici, i pensieri più nuovi ed originali, che più tardi suscitarono tanto clamore e tanta rivoluzione d’idee; l’altro, il maggior scienziato oggi vivente, che portò la feconda multiforme sua attività nei due mondi e che ardimentoso affrontò e divulgò le più originali e singolari teorie che si presentarono al suo genio, mentre la sua vita, mescolata sempre al grandioso movimento moderno dell’Inghilterra, fu aperta all’universale ammirazione.
Eppure, quanti punti di contatto fra i due scienziati! Se Lord Kelvin unì l’Europa e l’America col telegrafo transatlantico, Gauss per primo immaginò il telegrafo elettrico che collegò il suo osservatorio col gabinetto di fisica dell’amico Weber. La limpida geometrica eleganza della teoria delle immagini di Lord Kelvin è solo paragonabile alla armoniosa divina bellezza delle proprietà dei numeri che Gauss scoprì.
Non la forma del genio dunque, ma il carattere e più che altro l’ambiente diverso in cui vissero fu l’origine di tanta differenza.
L’intima connessione della scienza con la vita pratica non ha peraltro diminuito il carattere maestoso e solenne di quella, carattere che nutre ed avviva quello che già ho chiamato sentimento scientifico.
Quei moderni portentosi ed immani edifici, non fumanti e strepitosi come le antiche officine, bensì luminosi e tranquilli, ove le dinamo, giganteschi monumenti dell’epoca presente, compiono rapide e silenziose l’opera loro, rievocano per l’augusta, solenne ed austera grandiosità i monumenti di un’altra epoca: le vetuste cattedrali che ergono al cielo le loro mirabili guglie. Sotto le aeree arcate, che l’arte del medio-evo elevò, l’anima si riempie di una commozione solenne che ci fa sentire le aspirazioni ed i palpiti dei lontani secoli. Una commozione altrettanto grande e profonda invade chi penetra nel loco sacro dell’industria moderna ed ei sente suscitarsi nel cuore un’onda di fiero compiacimento e un sentimento di serena fiducia che gli fa guardare sicuro in faccia all’avvenire.
Del recente movimento della scienza verso le pratiche applicazioni l’Italia forse si giovò meglio di ogni altro paese, ond’è che quel sentimento scientifico a cui poc’anzi alludevo, sebbene qui più tardi che altrove sviluppato, fa sotto i nostri occhi sempre più rapidi e lusinghieri progressi.
Era, non son molti anni, ben triste la nostra condizione economica; ma per virtù di uomini e di cose essa risorse in modo mirabile ed inaspettato: una fonte inattesa di ricchezza scaturì abbondante dall’industria che si credeva negata al nostro paese dalla stessa natura.
Allorchè all’Esposizione di Torino del 1884 vennero alla luce i primi trasformatori elettrici, quegli apparecchi, che furono paragonati all’organo rudimentale di ogni meccanismo, la leva, il seme da cui doveva nascere tanta ricchezza era gettato: la energia che i nostri monti e i nostri fiumi serbavano si riversò nel piano e animò mille operose officine e penetrò benefica nelle nostre città.
I fili che vediamo stendersi come in una rete sopra le nostre abitazioni e slanciarsi lontani sono il documento più eloquente della nostra prosperità economica. Nella solitaria campagna romana essi corrono paralleli ai superbi acquedotti. Al genio di Lord Kelvin, che li mirò in un fulgente crepuscolo, essi parlarono un linguaggio altrettanto solenne quanto le maestose vestigia dell’antica potenza dell’Urbe.
Ho cercato fin qui di descrivervi nei brevi confini che mi erano concessi e nel modo che le mie forze consentivano l’effetto che il mondo moderno ha risentito dal recente sviluppo scientifico ed ho brevemente accennato alla evoluzione che lo scienziato ha subito; ma ho potuto mettere in luce (e solo fuggevolmente) un lato appena del gran quadro che le scienze presentano: quello che può considerarsi come il lato esteriore; l’interiore, che senza dubbio offre il maggiore interesse, è rimasto così completamente nascosto.
Eppure il valore della scienza non consiste solo nella sua pratica utilità nè la forza di essa ed il suo punto di appoggio stan solo nel pubblico che si giova dei suoi risultati e ne intuisce con ammirazione le vive sorgenti.
Il valore della scienza, che ha ispirato tanti profondi pensieri e tante pagine eloquenti al Poincaré, si rivela eziandio con altre forme ancor più nobili ed elevate: si rivela per gli stessi intimi caratteri del lavoro scientifico, per le soddisfazioni che esso procura. Nella pura e disinteressata ricerca della verità, che ne è il fine supremo, la gioia maggiore pel sereno ricercatore sta nell’apprendere, non nel sapere.
Ma non è mio compito di parlarvi del movimento interiore delle scienze. Le conferenze generali che vi terranno chiari scienziati, le quali toccheranno i tre grandi rami delle scienze fisico-chimiche, di quelle biologiche e delle sociali; i discorsi di apertura dei presidenti delle singole sezioni, i rapporti sui progressi dei vari capitoli delle diverse discipline, le comunicazioni originali e le discussioni; insomma l’intero lavoro del presente Congresso, quello solo potrà presentarvi lo spettacolo di quanto vive e palpita nell’interno del mondo scientifico; vi mostrerà quali sono i misteri che febbrilmente si cerca di svelare, le vittorie conseguite, le delusioni sofferte, che, per quanto crudeli, non debbono dissimularsi.
Il momento attuale non sarebbe nemmeno opportuno per uno sguardo sintetico sulle varie discipline: troppe positive e fondamentali scoperte si vanno rapidamente accumulando ed attendono di essere classificate, connesse tra loro ed organizzate, mentre una critica profonda, acuta e, direi quasi, spietata, scrutando e anatomizzando ogni singolo atto del pensiero ed ogni forma di speculazione, mina tanti sistematici edifici che ieri sembravano ancora dover sfidare i secoli, oggi formano grandi e sparse rovine, su cui vi è già chi cerca sollecito di ricostruire.
Ma non mi è possibile di passare sotto silenzio e di non ricordare ciò che ogni attento osservatore conosce già per propria esperienza: cioè che quasi tutte le discipline scientifiche traversano oggi una grande crisi, crisi delle condizioni in cui si elaborano, crisi del pensiero filosofico che le informa.
Si manifesta la prima con un singolare contrasto: mentre da un lato il bisogno di raggiungere un’abilità tecnica rende necessaria la specializzazione e la divisione del lavoro scientifico, giacché una intera vita è in taluni casi appena sufficiente per acquistare quelle attitudini senza le quali nessun progresso positivo è possibile; dall’altro le diverse discipline si sono talmente compenetrate, che non si comprende al dì d’oggi come si possa avanzare nell’una senza conoscerne, e profondamente conoscerne, molte altre e non quelle sole che si ritenevano or son pochi anni affini, ma anche delle nuove, rivelatesi ora strettamente connesse. Il lavoro collettivo che si manifesta più intenso e diffuso nelle scienze maggiormente progredite, come l’astronomia, la creazione di grandi scuole che si aggruppano attorno ad uomini di genio, come avviene nei paesi più avanzati, tendono bensì a coordinare e disciplinare le individuali energie, ma l’equilibrio da cui solo potrà scaturire benefica quella economia degli sforzi a cui tutti aspiriamo, è ben lungi dall’essere raggiunto.
Ciò però non costituisce che uno degli aspetti con cui si manifesta la crisi a cui abbiamo accennato; l’altro, che interessa il pensiero filosofico, impressiona e colpisce ancor maggiormente.
Che le ipotesi siano un mezzo e non un fine nella scienza, che si possa abbandonare domani quella che oggi fidenti abbracciamo, è antica persuasione; tanto antica che già per gli astronomi greci ogni ipotesi cosmica era accettabile, purché potesse servire a calcolare la posizione degli astri.
Ma il periodo storico attuale si differenzia da quelli che precedettero perchè, non solo le singole ipotesi, ma anche i grandi principii, taluni dei quali non si discutevano più ed erano universalmente accettati e quasi come dogmi insegnati, sono divenuti subitamente oggetto di discussione e di critica, mentre vecchi sistemi, che sembravano da lungo tempo e per sempre seppelliti, ad un tratto inaspettatamente risorgono.
Forse agli occhi dei nostri posteri il momento storico attuale apparirà come a noi quello del Rinascimento, in cui il concetto del sistema del mondo cambiò la base stessa su cui era poggiato.
Centro del movimento critico moderno, il quale ha condotto all’attuale periodo di perturbazione, è stato indubbiamente negli ultimi anni la matematica.
È appena un secolo — osservava acutamente il Mittag Leffler, scrivendo le belle pagine dedicate alla memoria di Abel — che questo grande analista proclamò apertamente essere la matematica fine sufficiente a sè medesima e portare il suo ideale in sè stessa. E pure, può aggiungersi, non vi è secolo in cui la matematica si sia più largamente diffusa al di fuori dei limiti della sua intrinseca attività ed abbia fecondato campi così lontani dal proprio, mentre suscitava una nuova e fiorente filosofia.
La matematica, ripiegandosi su sè medesima, come pensava Abel, onde costituire prima e consolidare poi quella teoria delle funzioni e quella geometria che furon il fondamento delle ricerche degli ultimi anni, condusse a tal perfezione l’analisi del pensiero con l’esame assiduo e profondo dei propri concetti e dei mezzi di cui dispone, che questi acquistarono tanta acutezza, flessibilità e potenza da penetrare e commuovere tutta la speculazione scientifica e filosofica.
È così, per citare un solo esempio famoso, che uno scritto di carattere schiettamente geometrico del Beltrami, il quale attingeva le sue origini alle ricerche di Gauss, di Lobatschewski e di Riemann sulla geometria non euclidea, fu di tanto universale importanza da rischiarare di novella luce la teoria della conoscenza e i fondamenti della logica stessa.
La critica moderna dei matematici è penetrata trionfalmente nelle scienze fisiche e vi ha determinato nuove correnti di pensiero.
La meccanica fu la via attraverso la quale il nuovo indirizzo penetrò. Non è nuova del resto per questa scienza la funzione che ha così esercitato.
Ma un fatto capitale è pure intervenuto che tende a mutare la posizione stessa di questa disciplina nel campo delle scienze fisiche.
Noi tutti della nostra generazione (possiamo apertamente dirlo) fummo educati con quei principii che un moderno vocabolo chiama meccanicisti; ed infatti, che tutti i fenomeni, almeno quelli studiati dalla fisica, potessero ricondursi a fenomeni di moto e tutti rientrare nell’orbita della meccanica classica, era un dogma a cui ogni scuola si inchinava e la cui origine si perde nella lontana filosofia Cartesiana.
Ma un poco per volta le teorie meccaniciste si sono trasformate; le difficoltà si sono accumulate; le idee iniziatesi con Rankine, così strenuamente sostenute dal Mach (il quale però occupa una posizione distinta da tutti nella filosofia delle scienze), proseguite da Ostwald, dal Duhem e da altri, si son fatte strada; e molti han combattuto sotto l’insegna che portava il motto celebre: guerra contro la mitologia meccanica.
La energetica si formò ed essa classificò la meccanica a lato delle altre scienze fisiche e non più base comune di queste. Una nuova comune base si costituì poggiata su principii più larghi e più comprensivi.
Quest’orientamento di idee, oggetto di tante dispute e discussioni di matematici e di naturalisti, non rappresenta però il limite estremo a cui si è pervenuti. La critica dei fisici matematici, che ci appare come la osservazione ultramicroscopica, rispetto a quella ordinaria del microscopio, scruta ora e discute questi stessi principii dei quali è giunta a diffidare.
In verità i concetti moderni sulla costituzione elettrica della materia, mentre sotto un certo aspetto appaiono connessi alle idee atomiche e cinetiche, e come un ritorno a principii simili a quelli dell’antica meccanica fisica, portano d’altra parte sui concetti di massa e d’inerzia, posti da Newton a base di tutta la filosofia naturale, sul principio di relatività e sugli altri fondamentali una profonda rivoluzione; talchè ben si comprende come molti possan sospettare che i principii stessi dominanti un mezzo secolo fa mal resistano alla bufera che sembra travolgerli.
Questa crisi si riverbera su tutte le scienze della natura; ed intanto, così in cielo come in terra, mille cose si rivelano che la filosofia non sognava: dall’azione della luce sul movimento degli astri, alle nuove fonti del calore terrestre.
Se si riflette inoltre che a poco a poco le teorie che han per fondamento la emissione sembrano risorgere, mentre pochi anni fa unica vittoriosa padrona nel campo dei fenomeni che si propagano a distanza era la teoria ondulatoria, il sentimento di sorpresa si accresce ancora, vedendo accanto a così nuove e inattese speculazioni apparire, non meno inattesi, antichi concetti, come spettri sorgenti da sepolcri ritenuti ormai chiusi.
Forse ancor più che nella fisica stessa la rivoluzione delle idee si manifesta nella scienza sorella: la chimica; ove i nuovi concetti sulla costituzione dell’atomo da molti sostenuti e i dubbi che altri invece manifestano sulla sua stessa esistenza, trasformano e sconvolgono le antiche e classiche teorie; ove il sogno degli alchimisti risorge pieno di tanti misteri e di tante promesse; ove un nuovo fiorente ramo, la fisico-chimica, ricco di risultati e di speranze è spuntato.
Nel vergine campo della fisico-chimica si sono incontrate le più opposte tendenze ed è ben diffìcile stabilire a quale di esse si debbano i risultati di maggiore interesse. Infatti, se da un lato le teorie schiettamente cinetiche originarono le scoperte di Van der Waals, dell’Arrhenius e di tanti ancora, d’altro canto la energetica ha qui trovato non da distruggere o mutare, ma da edificare fruttuosamente ed in questo campo il suo benefico influsso si è fatto profondamente sentire.
Vi è un tipo caratteristico di ragionamento che non esiterei a chiamare energetico. Potente e fecondo, rimonta con le sue origini a Carnot ed al suo memorabile ciclo; esso domina sovrano in tutta la fisico-chimica teorica, e le dottrine che ad esso si inspirano hanno avuto le più importanti conseguenze. Ma le applicazioni di questo ragionamento di tipo energetico si sono estese molto più lontano ed in scienze diverse e non potrei non ricordare che il risultato a mio avviso più caratteristico e suggestivo della economia matematica, cioè la dimostrazione generale che la equazione differenziale dell’equilibrio economico è illimitatamente integrabile, può fondarsi sopra di esso. È da presumere e da sperare che ben altri risultati ancora possano ricavarsene.
Questo accenno mi condurrebbe naturalmente a parlare dell’influenza che esercitano i metodi matematici sulle scienze morali e delle trasformazioni ed innovazioni che vi determinano, ma in tal modo varcherei i limiti che mi sono prefisso.
E questi limiti mi consentono solo di affermare fuggevolmente che la giovane fisico-chimica, di cui abbiamo discorso, ha apportato alla fisiologia un contributo di fatti nuovi, origine di un nuovo indirizzo di idee.
Ed a proposito delle scienze biologiche dirò soltanto di volo della grande crisi che colpisce i concetti fondamentali della vita, della evoluzione, della eredità e che ha portato tanta perturbazione nella dottrina del Darwinismo, il quale dopo esser stato la guida delle menti per un mezzo secolo, ora, dopo le più recenti ricerche del de Vries e di altri botanici e zoologi, sembra perdere non certo l’importanza, ma forse la preponderanza che un tempo gli era riconosciuta.
Diversi sono i fattori che hanno cooperato e cooperano a questa trasformazione di pensiero, nè io posso nemmeno accennarli; ma certo la osservazione attinta a tutte le sorgenti della scienza e della pratica, i nuovi metodi sperimentali della chimica fisiologica e, non ultimi, quelli della biometria (fonte sempre più apprezzata di risultati positivi e di leggi ben definite e sicure) preparano per le discipline biologiche una nuova era.
E mi sembra di vedere delinearsi ancor vaghi e lontani dei metodi che forse un giorno potranno avere una larga applicazione.
Il concetto di funzione, che dominò la matematica nell’ultimo secolo, si è esteso, ed a questa estensione si riattaccano nuove questioni che condussero ad utili risultati. Già si intravede, come osserva il Picard, che dipendentemente da essa possa costituirsi una meccanica della ereditarietà, la quale, contrapponendosi a quella classica, riesca a rappresentare con maggior precisione i fenomeni elastici, magnetici e gli altri, in cui la isteresi ha sì grande importanza.
A quale avvenire, io mi domando, questa meccanica potrebbe essere un giorno destinata, se riuscisse a penetrare nel campo dei fenomeni biologici?
Ma non è prudente fare alcuna profezia. La storia della scienza insegna che è bastata talora la scoperta di un tenue fatto positivo nuovo per sconvolgere tutte le previsioni che sembravano meglio fondate. Le estrapolazioni in un campo in cui le leggi sono incerte od ignote è un pericolo al quale io intendo sfuggire.
Ma è pur tempo che io chiuda il mio dire e che riassuma il mio pensiero.
Due fatti ho voluto mettervi contemporaneamente dinanzi agli occhi: l’avvicinamento tra il pubblico e gli uomini di scienza, dovuto allo stato d’animo che nell’uno e negli altri ingenera il sentimento scientifico dominante nel mondo odierno; e la grande crisi che agita oggi tanti rami del sapere. All’uno ed all’altro di essi corrispondono nuovi bisogni della umana società, bisogni cui ogni paese civile deve soddisfare se non vuole che si arresti o languisca la propria vita intellettuale e che si inaridiscano le fonti della propria prosperità.
La crisi interiore che agita e trasforma tante dottrine rende necessaria l’ampia, libera e diretta discussione fra gli studiosi, determina in essi l’urgenza di manifestarsi personalmente i pensieri che li occupano, i dubbi che li tormentano, le difficoltà che li arrestano, le speranze che li sospingono. I libri e le memorie non servono, nè mai potranno servire a tal fine; il bisogno sta precisamente nel dire e nell’apprendere quello che non si osa ancora di pubblicare o che non si pubblicherà mai.
Le antiche accademie sono un campo troppo chiuso, gli istituti di insegnamento hanno già altri intenti determinati, le singole società scientifiche sono un terreno troppo ristretto per prestarsi a questi scopi; essi, solo possono conseguirsi in seno ad una vasta associazione che raccolga i cultori di tutte le discipline, qual’è quella che noi oggi inauguriamo.
D’altra parte ogni giorno vediamo moltiplicarsi le opere e le riviste scientifiche che si rivolgono al gran pubblico, il quale accorre sempre più frequente e curioso alle conferenze ed alle lezioni popolari.
Ma, come nasca e si formi il pensiero scientifico e come l’idea dapprima vaga si determini e si concreti nella mente dello studioso, questo nessun libro potrà mai dire, nessun discorso potrà mai rappresentare, nel modo stesso che le preparazioni di un museo zoologico non potranno mai darci l’idea della vita.
Ebbene, tutto ciò che il pubblico non può apprendere nè da libri nè da discorsi, si paleserà quando esso assista e si mescoli alle discussioni degli uomini di scienza, giacchè son le dispute spontanee e vivaci, che mostrano sotto la luce più naturale e più vera il germogliare e l’esplicarsi di quei pensieri che di solito un troppo sapiente artificio divulga.
Non questo solo però il paese richiede alla istituzione che sorge; non la sola soddisfazione della curiosità di sapere, ma proficuo incoraggiamento e sprone ad ogni fecondo studio e ad ogni nuova e vitale ricerca. Gli uomini dedicati alle industrie, ai commerci, alle pratiche professioni, innumerevoli richieste hanno ogni dì da rivolgere alla scienza, la quale è di continuo premuta da un’onda crescente di persone che sperano da lei la soluzione dei nuovi problemi che lor si affacciano complessi e incalzanti e la invocano vittoriosa delle difficoltà ognora risorgenti.
Solo dinanzi ad una Associazione come la nostra, la quale, aperta e liberale, accoglie le più diverse categorie di uomini, tali questioni, che tanto interessano la scienza e la pratica, potranno essere efficacemente poste, giacchè il porle soltanto richiede necessaria la cooperazione delle varie tendenze. Ai laboratori e agli istituti scientifici spetterà poi il compito di maturarle e risolverle.
È perciò che con viva e sincera fede, con caldo entusiasmo, il Comitato ha promosso la nuova Associazione e vi ha qui convocati e gode ora nel vedere quanto numerosi siate convenuti, dalle scuole, dai laboratorii, dalle pratiche occupazioni.
Eguale ardore anima tutti per la nascente Società, che coi nostri voti consacriamo a grandi e nobili fini; con eguale speranza ci arridono le sue sorti; il suo avvenire ci appare legato all’avvenire stesso della patria che sicura muove verso i suoi alti destini.
Nel terminare, il pensiero mi corre spontaneo al raffronto cui poc’anzi accennai fra l’epoca presente e il periodo del Rinascimento. Allora, nel mirabile rinnovellarsi di tutte le attività intellettuali, l’Italia divenne il centro del pensiero scientifico universale. Io lancio oggi l’augurio che sorte non meno grande ci sia riserbata, oggi che il sorgere ed il plasmarsi della schietta e genuina anima italiana ha ravvivato tutto il nostro pensiero e ci ha restituita l’antica patria.
- Università di Roma.
Note
- ↑ Quest’articolo riproduce integralmente, salvo i ringraziamenti di prammatica, il discorso con cui il presidente Vito Volterra ha inaugurato il 1° Congresso della Società italiana per il progresso delle Scienze (Parma, 23 settembre 1907).
[N. d. D.]