Rime (Vittorelli)/Idilli/Idillio 1
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IL LAMENTO PASTORALE.
Per sacra Vestizione di nobil Donzella.
Già l’aurora si vedea
Quel gran giorno prevenir,
In cui Fillide volea
Se medesma al Tempio offrir.
Rassembrava afflitta e mesta
Ogni siepe, ogni arboscel;
E gemea per la foresta
Un pietoso venticel.
Non belavano le agnelle
Salutando il primo albor,
E le amiche Pastorelle
Eran piene di dolor.
Sotto a un platano frondoso,
Che le copre al mezzodì,
Con un volto sospiroso
Nice, Eurilla, e Cloe s’unì.
Discorrea da i loro occhietti
Largo pianto in sul terren:
Il tumulto de gli affetti
Era eguale in ogni sen.
Ma già l’alba in ciel dispare,
Già comincia il nuovo dì.
Guarda Eurilla verso il mare,
E prorompe al fin così:
Ecco Febo, che il sembiante
Schietto ed ilare non ha.
Io ti perdo in questo istante
O dolcissima metà.
Cara Fille, ah! perchè mai
Queste selve abbandonar?
Cara Fillide, ove vai
Senza speme di tornar?
Cerchi forse in chiuse mura
Un asilo a la virtù?
Se tra i boschi è mal sicura,
Perchè sol de i boschi fu?
Credi: è vana ogni difesa
Soggiornando fra i pastor.
Chi può mai recarti offesa?
Una pianta? un’erba? un fior?
Eri tu la gioja nostra,
Cara Fille: or più nol se’.
Questa verde ombrosa chiostra
Rallegravasi per te.
Neve, e brina, e latte, e giglio
Non avean candore egual,
E abitava nel tuo ciglio
La modestia virginal.
Ma i begli atti, e il guardo schivo
Dove, o Fillide, sen gir’?
Come lampo fuggitivo
Compariro e disparir’.
Te perdendo io chieggo aita,
Ed invoco la Ragion.
La Ragione, oh dio! t’imita
Col lasciarmi in abbandon.
Quanto duolo affligge e preme
Il tuo caro genitor!
Senza te, sua dolce speme,
È un prodigio se non muor.
Chi dal fascio lo solleva
De gli affanni, e de l’età?
La mia Fillide, ei diceva,
Queste ciglia chiuderà:
Poscia in aria taciturna,
Ed in bruno gonnellin
Verrà a spargermi su l’urna
Qualche fresco gelsomin.
Ahi! lo veggio, benché lasso,
Benché molle di sudor,
Affrettare il tardo passo,
E chiamarti a nome ognor.
Del ruscello su le sponde
Corre in prima: al bosco va:
Chiama Fille, e non risponde
Fuor che un antro per pietà.
Pastorelle sventurate,
Mie compagne nel dolor,
Secondatemi, e stracciate
Ogni nastro ed ogni fior.
Ricopritevi la fronte
D’atro panno vedovil.
Pianga il rio, si lagni il monte,
E querelisi l’ovil,
E tu, Fillide, che a l’erta
Di Sionne or volgi il piè,
Non recando per offerta
Bianco agnel, ma bianca fè;
Se l’immagine ti resti
De le selve in mezzo al cor,
Dì talora: o selve agresti,
V’amai sempre, e v’amo ancor.
Vivi in pace; e questo giorno
Consecrato a l’amistà
Nel suo flebile ritorno
Dolci pianti ognora avrà.
Qui, mettendo un gran sospiro,
Troncò Eurilla il favellar,
E due tortore si udiro
Il lamento replicar.