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Per sacra Vestizione di nobil Donzella.
Idilli Idilli - Idillio 2
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IL LAMENTO PASTORALE.

Per sacra Vestizione di nobil Donzella.


 
G l’aurora si vedea
     Quel gran giorno prevenir,
     In cui Fillide volea
     Se medesma al Tempio offrir.

Rassembrava afflitta e mesta
     Ogni siepe, ogni arboscel;
     E gemea per la foresta
     Un pietoso venticel.

Non belavano le agnelle
     Salutando il primo albor,
     E le amiche Pastorelle
     Eran piene di dolor.

Sotto a un platano frondoso,
     Che le copre al mezzodì,
     Con un volto sospiroso
     Nice, Eurilla, e Cloe s’unì.

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Discorrea da i loro occhietti
     Largo pianto in sul terren:
     Il tumulto de gli affetti
     Era eguale in ogni sen.
     
Ma già l’alba in ciel dispare,
     Già comincia il nuovo dì.
     Guarda Eurilla verso il mare,
     E prorompe al fin così:
     
Ecco Febo, che il sembiante
     Schietto ed ilare non ha.
     Io ti perdo in questo istante
     O dolcissima metà.
     
 Cara Fille, ah! perchè mai
     Queste selve abbandonar?
     Cara Fillide, ove vai
     Senza speme di tornar?

Cerchi forse in chiuse mura
     Un asilo a la virtù?
     Se tra i boschi è mal sicura,
     Perchè sol de i boschi fu?
     

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Credi: è vana ogni difesa
     Soggiornando fra i pastor.
     Chi può mai recarti offesa?
     Una pianta? un’erba? un fior?
     
Eri tu la gioja nostra,
     Cara Fille: or più nol se’.
     Questa verde ombrosa chiostra
     Rallegravasi per te.

Neve, e brina, e latte, e giglio
     Non avean candore egual,
     E abitava nel tuo ciglio
     La modestia virginal.
     
Ma i begli atti, e il guardo schivo
     Dove, o Fillide, sen gir’?
     Come lampo fuggitivo
     Compariro e disparir’.
     
Te perdendo io chieggo aita,
     Ed invoco la Ragion.
     La Ragione, oh dio! t’imita
     Col lasciarmi in abbandon.

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Quanto duolo affligge e preme
     Il tuo caro genitor!
     Senza te, sua dolce speme,
     È un prodigio se non muor.

Chi dal fascio lo solleva
     De gli affanni, e de l’età?
     La mia Fillide, ei diceva,
     Queste ciglia chiuderà:

Poscia in aria taciturna,
     Ed in bruno gonnellin
     Verrà a spargermi su l’urna
     Qualche fresco gelsomin.

Ahi! lo veggio, benché lasso,
     Benché molle di sudor,
     Affrettare il tardo passo,
     E chiamarti a nome ognor.

Del ruscello su le sponde
     Corre in prima: al bosco va:
     Chiama Fille, e non risponde
     Fuor che un antro per pietà.

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Pastorelle sventurate,
     Mie compagne nel dolor,
     Secondatemi, e stracciate
     Ogni nastro ed ogni fior.

Ricopritevi la fronte
     D’atro panno vedovil.
     Pianga il rio, si lagni il monte,
     E querelisi l’ovil,

E tu, Fillide, che a l’erta
     Di Sionne or volgi il piè,
     Non recando per offerta
     Bianco agnel, ma bianca fè;

Se l’immagine ti resti
     De le selve in mezzo al cor,
     Dì talora: o selve agresti,
     V’amai sempre, e v’amo ancor.

Vivi in pace; e questo giorno
     Consecrato a l’amistà
     Nel suo flebile ritorno
     Dolci pianti ognora avrà.

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Qui, mettendo un gran sospiro,
     Troncò Eurilla il favellar,
     E due tortore si udiro
     Il lamento replicar.

Note