Rime (Saibante)/Biografia
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La Contessa Bianca Laura Saibante Vannetti nacque in Rovereto alli 27 Maggio del 1723. Ebbe la prima sua educazione in un monastero in Trento, ove apprese, oltre agli utili e bei lavori che a donna convengonsi, la lingua francese e tedesca, la musica e la pittura, nella quale assai si distinse: nella Biblioteca d’Inspruch si conservano alcuni suoi saggi pittorici molto pregiati dagli intelligenti. Ritornata in seno della paterna famiglia, fu dal concittadino di lei Girolamo Tartarotti ammaestrata nella poesia, nell’arte di ben pensare, e nella morale filosofia; nè lasciò di render fruttuosi coll’opera i preziosi insegnamenti di tanto maestro. Recitò più volte prose e versi leggiadri nell’Accademia degli Agiati; Accademia da lei e dal fratello suo fondata nel 1750, e sostenutacoll’efficacia dell’esempio e delle parole. In Arcadia era chiamata Ismene Ripense; Atalia fra gli Agiati. Fu moglie del Cavaliere Giuseppe Valeriano Vannetti, autore anch’esso di pregiate rime, e della Barbalogia, ovvero Ragionamento intorno alla barba. Divenne madre del Cavalier Clementino, giustamente chiamato dal Cesari uomo antico; di quel Clementino, che luminosa fama di sè con tante dottissime Opere alzò nel mondo, nelle quali sì spesso con vero amor filiale affettuosamente la ricorda. Rimasta vedova nel 1764, pianse desolata il consorte, e unita al figlio pose sull’avello dell’uomo giusto onorata e tenera iscrizione, che leggesi nella Cappella famigliare dei Conti Vannetti nella lor villa delle Grazie, poco lungi dalla città. Nel 1795 orba si vide di tanto figlio, e consacrò gli ultimi anni del viver suo ad un tranquillo ritiro, alle lettere, alla pietà. Le sue prose furono inserite, per cura del rinomato Saverio Bettinelli, nel tomo undecimo degli Opuscoli scientifici e letterarii di chiarissimi autori italiani; e le sue poesie trovansi sparse in varie Raccolte e Giornali d’Italia, dai quali è tratto il Saggio che ora si pubblica. Il sommo suo spirito la rendè cara ai Tartarotti, ai Baroni, ai Bettinelli, ai Zucco, la cui costante amicizia onorò lo stato sì maritale che vedovile di lei. La chiarezza, il candore delle prose e de versi suoi sono un’immagine della bell’anima sua. Il nome di lei sembrò non indegno di ricordanza al signor de la Lande ne’ suoi Viaggi d’Italia, come pure al Lami, al Chiaramonti, al Rubbi nelle loro Opere; l’ultimo de’ quali compiacquesi d’assegnare ad essa un posto fra le Protettrici de’ suoi Elogi Italiani; e finalmente il Tiraboschi chiamò le sue prose belle, graziose ed eleganti; e l’unico Metastasio appellò i suoi versi dolci e purissimi, riconoscendovi non pochi lineamenti del Cantor di Valchiusa. Riunì in sè l’avvenenza colla cultura, un cuore sensibilissimo colla modestia, la decenza colla grazia: ai doveri di figlia, di sposa, di madre aggiunse i dolci sentimenti di amicizia: virtuosa in somma ed amabile, offerto avrebbe al filosofo ginevrino uno di que’ rari modelli ch’egli sbanditi credea dalla terra. Cessò di vivere alli 6 di Marzo del 1797.