Rime (Dino Frescobaldi)/Morte avversara, poi ch'io son contento

Morte avversara, poi ch'io son contento

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Dino Frescobaldi - Rime (XIII secolo)
Morte avversara, poi ch'io son contento
Per gir verso la spera, la finice Donna, dagli occhi tuoi par che si mova


 
Morte avversara, poi ch’io son contento
di tua venuta, vieni,
e non m’aver, perch’ io ti prieghi, a sdegno,
né tanto a vil perch’ io sia doloroso.
5Ben vedi che di piagner non allento,
e tu mi ci pur tieni
segnato del tuo nero e scuro segno,
però che sai che ’l viver m’è noioso.
Io son sicuro, e fui già pauroso,
10di doverti veder, crudele, in faccia;
ed ora, se m’abraccia
da tua parte il pensier, il bascio in bocca.
. . . . [-occa]
Amor per quella che meco s’adorna,
15e dicendo va e torna
infin che[d] io ragioni un poco a lui;
poi ne verrà costui - insieme ed ella,
e l’un per servo e l’altra per ancella.
Morte, lo giorno ch’io gli occhi levai
20a quella che’l disio
naturalmente mi formò entro al core,
compita, al mio disio, d’ogni biltate,
immantinente ch’io la risguardai,
nello ’ntelletto mio
25contento fue lo spirito d’amore
sol di veder la sua nobilitate.
Ma la sua nova e salvaggia etate,
crudele e lenta contro a mia fermezza,
per la sua giovinezza
30m’ha tempo, in vanità girando, tolto.
Né io mi son però a dietro vòlto;
ma con quel lume ch’io l’accesi al viso,
mi son piangendo miso
a dir sì basso a la sua grande altura,
35che, se [a] merzede giuvinetta e fera,
[l]i sdegni vinca l’umile manera.
Io la trovai della mia mente donna
così subitamente
come Natura mi die’ sentimento,
40e canoscenza Amore ed intelletto,
poi gli occhi miei, quando la fecior donna,
sì amorosamente
guardaro in lei, veggendo a compimento
ogni beltate senza alcun difetto,
45che li condusse a pianger lo diletto
sì dolcemente, che la vita aperse
e lo cor non sofferse.
Diedersi a pianger, veggendo la vista
ch’i’ ho perduta, e ciascun ora acquista
50sì leggermente com’ i’ daria ’l sangue,
onde notrica l’angue
ch’alla punta del cor Amor mi tene,
[s]e[d] io potessi ben - vedere un’ora
come la mente mia quando l’adora!
55La mente mia, trafitta e dirubata
da’ ladri miei pensieri,
che m’han promesso il tempo e non atteso,
veggendosi così distrutta, piange;
e la speranza vede scapigliata
60sopra ’l disio ch’ieri
d’angoscia cadde tramortito e steso,
né far li può sentire Amor che ’l tange.
E se Pietà ch’agli occhi mi ripiange
di quella natural mi contradice
65. . . . [-ice]
io sarò più possente d’ella, intanto
ch’un’ora, nel mio pianto,
mi manderò diritto al cor la spada:
ov’io sog[g]iacerò una volta morto,
70poiché vivendo ne fo mille a torto.
Morte, a cui dico? Donna mi disdegna,
né la vita mi vale,
sì m’e rivolto, ciò ch’io chieg[g]io, incontra;
e la cagion qual sia no·lla vi celo:
75i’ ho seguito Amor sott’ una insegna,
provando bene e male,
e tutte cose mi son sute contra
poi ch’io vidi a madonna il bruno e ’l velo.
Par che ’nfluenza di malvagio cielo
80irasse il tempo e la sua giuventute,
tollendole salute,
acciò ch’un’ora ben no·ll’incontrasse.
Ma se Natura o Dio considerasse
li sofferenti, come far solea,
85beato quel sarea
ched e’ potesse tanto ben pensare
quant’ al levar - del vel mi daria ’n sorte
colui ch’è scarso sol di darmi morte.