Rime (Berni)/XLVIII. Capitolo alli signori abbati

XLVIII. Capitolo alli signori abbati [cornari] [che lo avevano invitato]

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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
XLVIII. Capitolo alli signori abbati [cornari] [che lo avevano invitato]
XLVII. Ricantazione di Verona XLIX. Vaghezze di Maestro Guazzalletto medico


Signori abbati miei, se si può dire,
ditemi quel che voi m’avete fatto,
3ché gran piacer l’arei certo d’udire.
  
Sappeva ben ch’io era prima matto,
matto, cioè, che volentieri amavo,
6ma or mi par aver girato affatto.
  
Le virtù vostre me v’han fatto schiavo
e m’han legato con tanti legami,
9ch’i’ non so quando i pie’ mai me ne cavo.
  
È forza ch’io v’adori, non che v’ami;
d’amor però di quel savio d’Atene,
12non di questi amorazzi sporchi e infami.
  
Voi sète sì cortesi e sì da bene
che, non pur da me sol, ma ancor da tutti,
15amore, onor, rispetto vi si viene.
  
Ben sapete che l’esser anco putti
non so che più vi conciglia e v’acquista,
18massimamente che non sète brutti;
  
ma, per Dio, siavi tolta dalla vista,
né dalla vista sol, ma dal pensiero,
21una fantasiaccia così trista;
  
ch’i’ v’amo e vi vo’ ben, a dir el vero,
non tanto perché siate bei, ma buoni.
24E potta, ch’io non dico, di san Piero,
  
chi è colui che di voi non ragioni?
Che la virtù delle vostre maniere,
27per dirlo in lingua furba, non canzoni?
  
Ché non è oggi facile a vedere
giovane, nobil, bella e vaga gente
30ch’abbia anche insieme voglia di sapere,
  
che adorni il corpo ad un tratto e la mente,
anzi che a questa più che a quello attenda,
33come voi fate tutti veramente.
  
Però non vo’ che sia chi mi riprenda,
s’io dico che con voi sempre starei
36a dormir et a fare ogni facenda.
  
E se i fati o le stelle o sian gli dei
volesser ch’io potessi far la vita
39secondo gli auspici e’ voti miei,
  
da poi che ’l genio vostro sì m’invita,
vorrei farla con voi; ma il bel saria
42che, com’è dolce, fusse anco infinita.
  
O che grata, o che bella compagnia!
Bella ciò è per me; ma ben per voi
45so io che bella non saria la mia.
  
Ma noi ci accorderemmo poi fra noi:
quando fussimo un pezzo insieme stati,
48ogniuno andrebbe a fare i fatti suoi.
  
Fariamo spesso quel gioco de’ frati,
che certo è bello e fatto con giudizio
51in un convento ove sian tanti abbati:
  
diremmo ogni mattina il nostro uffizio;
voi cantaresti, io vel terrei secreto,
54ché non son buono a sì fatto essercizio;
  
pur, per non stare inutilmente cheto,
vi farei quel servigio, se voleste,
57che fa chi suona a gli organi di drieto.
  
Qual più solenni e qual più allegre feste,
qual più bel tempo e qual maggior bonaccia,
60maggior consolazion sarien di queste?
  
A chi piace l’onor, la robba piaccia:
io tengo il sommo bene in questo mondo
63lo stare in compagnia che sodisfaccia:
  
il verno al foco, in un bel cerchio tondo,
a dire ogniun la sua; la state al fresco:
66questo piacer non ha né fin né fondo.
  
Et io di lui pensando sì m’adesco,
che credo di morir se mai v’arrivo:
69or, parlandone indarno, a me rincresco.
  
Vi scrissi l’altro dì che m’espedivo
per venir via, ch’io moro di martello,
72et ora un’altra volta ve lo scrivo.
  
Io ho lasciato in Padova il cervello:
voi avete il mio cor serrato e stretto
75sotto la vostra chiave e ’l vostro anello.
  
Fatemi apparecchiare in tanto il letto,
quella sedia curule e due cuccini,
78ch’io possa riposarmi a mio diletto;
  
e state sani, abbati miei divini.