Rime (Berni)/XLIX. Vaghezze di Maestro Guazzalletto medico

XLIX. Vaghezze di Maestro Guazzalletto medico

../XLVIII. Capitolo alli signori abbati ../L. Sonetto della mula IncludiIntestazione 19 settembre 2008 75% letteratura

Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
XLIX. Vaghezze di Maestro Guazzalletto medico
XLVIII. Capitolo alli signori abbati L. Sonetto della mula


O spirito bizzarro del Pistoia,
dove sei tu? Ché ti perdi un soggetto,
un’opra da compor, non che un sonetto,
4più bella del Danese e dell’Ancroia.
  
Noi abbiam qui l’ambasciador del boia,
un medico, maestro Guazzalletto,
che, se m’ascolti infin ch’io abbia detto,
8vo’ che tu rida tanto che tu moia.
  
Egli ha una beretta, adoperata
più che non è lo brevïar d’un prete
11ch’abbia assai divozione e poca entrata;
  
sonvi ritratte su certe comete
con quel che si condisce l’insalata,
14di varie sorti, come le monete.

                Mi fa morir di sete,
di sudore, di spasimo e d’affanno
17una sua vesta che fu già di panno,

                c’ha forse ottant’un anno
e bonissima robba è nondimanco,
20che non ha pelo e pende in color bianco.

                Mi fanno venir manco
li castroni, ancor debiti al beccaio,
23che porta il luglio in cambio del gennaio.

                Quegli li scusan saio,
cappa, mantel, stivali e covertoio;
26intorno al collo par che sia di coio.

                Saria buon colatoio:
un che l’avesse a gli occhi vedria lume,
29se non gli desse noia già l’untume;

                di peluzzi e di piume
piena è tutta e di sprazzi di ricotte,
32come le berettaccie della notte.

                Son forte vaghe e ghiotte
le maniche in un certo modo fesse:
35volsero esser dogal e fûr brachesse.

                Piangeria chi vedesse
un povero giubbon ch’ei porta indosso,
38che ’l sudor fatto ha bigio, giallo e rosso;

                ché mai non se l’ha mosso
da sedici anni in qua che se lo fece
41e par che sia attaccato con la pece.

                Chi lo vede e non rece,
lo stomaco ha di porco o di gallina,
44che mangion gli scorpion per medicina.

                La mula è poi divina:
aiutatemi, Muse, a dir ben d’essa.
47Una barcaccia par vecchia dismessa,

                scassinata e scommessa:
se le contan le coste ad una ad una,
50pàssala il sole, le stelle e la luna;

                e vigilie digiuna,
che ’l calendario memoria non fanne;
53come un cinghial di bocca ha fuor le sanne.

                Chi la vendesse a canne,
et a libre, anzi a ceste, la sua lana,
56si faria ricco in una settimana.

                Per parer cortigiana,
in cambio di basciar la gente, morde
59e dà co’ pie’ certe zampate sorde.

                Ha più stringhe e più corde,
intorno a’ fornimenti sgangherati,
62che non han sei navilî ben armati.

                Non la vorrieno i frati.
Quando salir le vuol sopra il padrone,
65geme che par d’una piva il bordone.

                Allor, chi mente pone,
vede le calze sfondate al maestro
68e la camiscia ch’esce del canestro

                con la fede del destro;
scorge, chi ha la vista più profonda,
71il coliseo, l’aguglia e la ritonda.

                Dà una volta tonda
la mula e va zoppicando e traendo;
74dice il maestro: "Vobis me commendo".

                Non so s’io me n’intendo,
ma certo a me ne par che costui sia
77colui che va bandendo la moria.