Rime (Andreini)/Sonetti CLXXVII-CLXXVIII
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DEL SIG. IACOPO CASTELVETRO
SONETTO CLXXVII.
Quelle doti quà giù, che son più care;
Ne’ marmi, e ne’ colori illustri, e chiare
Vivono ancor dal lor mortal disciolte;
Mà tù, che sai, che al trappassar di molte
Stagion tal pregio cade, opri per dare
Vita al tuo nome; e son l’arti sì rare,
C’hai ne l’alma à formarti ogn’hor rivolte,
Che sò ben io, che l’invido potere
Di lui, che sempre cangia, e sempre atterra
Quant’è creato, invan sua forza adopra.
Giuste però; che se dei vita havere,
Che non manchi giamai; tu sola in terra
Puoi del Tempo cangiar la forza, e l’opra.
Risposta.
SONETTO CLXXVIII.
Fiammeggiar le virtù, che son più care;
Per cui trà le memorie altere, e chiare
Stan l’opre nostre da l’oblìo disciolte.
Volga l’Invidia pur, volga le molte
Ceraste infette al tuo saper; che dare
A te morte non può; non può le rare
Cose adombrar, che son’ al ben rivolte.
E quel Veglio crudel, ch’alto potere
Hà sopra ogni mortal; già non atterra
Il tuo valor, che ’ncontr’à lui s’adopra.
D’ogn’altro forsè ei può vittoria havere.
Di tè non già, che glorioso in terra
Vivi; e sprezzi di lui l’orgoglio, e l’opra.