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Alhor sarò di sì gran luce piena,
Ch’oscurerò d’ogn’altra il pregio, e ’l vanto.
Ben sarà (tua mercè) tale il mio canto,
Ch’altri mi crederà del Ciel Sirena;
Nè Rosignol, nè Rìo d’alpestre vena
Al canto, al mormorìo fù grato tanto.
Dirassi poi, quei le diè lume, ed ella
Innalzò per virtù tant’alto il nome,
C’hora dispregia ogni mortal tesoro.
Così ad onta di Morte andrà Isabella
Al Ciel poggiando; e le neglette chiome
Havran fors’anco à vil Palma, ed Alloro.
DEL SIG. IACOPO CASTELVETRO
SONETTO CLXXV. [CLXXVII.]
Quelle doti quà giù, che son più care;
Ne’ marmi, e ne’ colori illustri, e chiare
Vivono ancor dal lor mortal disciolte;
Mà tù, che sai, che al trappassar di molte
Stagion tal pregio cade, opri per dare
Vita al tuo nome; e son l’arti sì rare,
C’hai ne l’alma à formarti ogn’hor rivolte,
Che sò ben io, che l’invido potere
Di lui, che sempre cangia, e sempre atterra
Quant’è creato, invan sua forza adopra.
Giuste però; che se dei vita havere,
Che non manchi giamai; tu sola in terra
Puoi del Tempo cangiar la forza, e l’opra.
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