Rime (Andreini)/Canzone IV

Canzone IV

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Sonetto CVII Sonetto CVIII

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CANZ. IIII.


A
Lma, ch’al Ciel salita

In dubbio hai posto il Mondo
     Qual fosse in te maggior senno, ò beltade
     Porgi, deh porgi aìta
     Al mio dolor profondo.
     Da quelle ov’hor ti stai sante contrade
     Sfavilla per pietade

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     Un chiarissimo raggio;
     Sì che del Mondo impuro
     Sgombrandomi l’oscuro
     Velo, m’apra del Ciel l’alto viaggio;
     Onde beàta un giorno
     Riveggia il tuo bel crin di stelle adorno.
Havrà ben fin la guerra
     Alhor de’ miei sospiri
     S’avverrà, ch’io ritrovi in Ciel quel bene,
     Ch’i’ perdei (lassa) in terra.
     O beàti martiri,
     Se l’effetto gentil d’amica spene
     Sarà mai, che v’affrene.
     Chiudami gli occhi Morte,
     S’aprir mi deve il Fato
     L’almo sentier beàto,
     Ch’altrui conduce à la superna Corte.
     Hor giunga il fin di questa
     Vita, se tal principio à me s’appresta.
O Laura mia quel Lauro,
     Da cui prendesti il nome,
     Ch’ebbe già da tuoi versi honor cotanto
     Qual havrà più restauro?
     Perch’ei cinga le chiome
     Di Poeti, e d’Heroi non si dia vanto,
     Che la porpora, e ’l canto,
     E di quelli, e di questi
     Quella gloria gli dia,
     Che già tù Laura mia
     Col nome, e con la cetra aurea gli desti.
     Ecco ei già langue, e perde
     Da te lontano, e le sue frondi, e ’l verde.

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Il tuo diletto Sposo
     Anch’ei perduto hà (lasso)
     Di sua vita mortal l’hore tranquille.
     Al ciglio lagrimoso
     Sembra un’immobil sasso,
     Che duo Fonti di lagrime distille;
     Nè però le faville,
     Che ’n se racchiude il petto
     Scemar ponno l’ardore;
     Che quando altri nel core
     Porta di casto foco honesto affetto
     Vive l’incendio, e dura
     Quand’ancor chi l’accese è terra oscura.
Sovente lagrimando
     La sua sventura ei dice,
     Cara del viver mio fida compagna
     Lasso me; lasso quando
     Sarò teco felice,
     E di lagrime pure il volto bagna.
     Così s’afflige, e lagna;
     E viè più cresce il duolo,
     Perche ’n angosce tante
     Non hà ’l misero amante
     Per temprar tanti affanni un piacer solo;
     Ed estrema è la doglia,
     Che di speme, e conforto empia ne spoglia.
E chi può nel confine
     Frenar de la ragione
     Alma beata, che dal Ciel m’ascolti
     Un dolor senza fine?
     Ne l’angusta prigione
     Del cor son troppi danni insieme accolti.

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     A lagrimar son volti
     Homai tutti i mortali;
     Ma ben che un largo fonte
     Versi ogn’huom da la fronte
     Le lagrime non vanno al duolo eguali;
     Nè basta humano accento
     A sfogar quest’interno aspro tormento.
Qui chiuso posa ò Viator gentile
     Di Laura il nobil velo
     Sparsa in terra è la fama, e l’Alma è ’n Cielo.