Ricordi di viaggio in Italia nel 1786-87/Prefazione

Prefazione

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Parte I

[p. v modifica]Goethe venne in Italia nel settembre del 1786, e vi si trattenne poco meno di due anni. Egli era in allora in età di trenta sette anni, ed aveva pubblicata già parte delle sue opere, fra le quali il Werther, che fu la prima a stabilire la sua fama, non solo in Germania, ma in Europa. Il desiderio di visitare la penisola era sorto in Goethe fin da quando, tuttora ragazzo, egli contemplava le incisioni dei monumenti di Roma del Piranesi, le quali stavano appese alle pareti dell’anticamera, nella casa di Francoforte sul Meno dove era nato, e quando prestava accolto, coll’avidità propria dei fanciulli d’ingegno svegliato, alle narrazioni entusiaste sull’Italia di suo padre, il quale vi era stato nella sua giovinezza. Se non che, il viaggiare non era in allora cosa facile, siccome in oggi. Assorto totalmente dallo studio, da occupazioni di vario genere, dalle relazioni sociali; trattenuto inoltre in patria da vincoli che non è sempre facile spezzare, anche quando se ne riconosce la [p. vi modifica]necessità e lo si vuole, Goethe dovette lasciare trascorrere tutta la sua giovinezza senza potere soddisfare il suo vivo desiderio di vedere l’Italia, e Roma specialmente. Intanto questo suo desiderio non era mai venuto meno in lui, ed anzi aveva finito per acquistare tale un grado d’intensità, ch’egli non esitava a qualificarlo malattia morale, principio di monomania, essendo quella sua brama giunta al punto di doversi egli astenere dal leggere i classici latini, perchè quella lettura, riportando i suoi pensieri all’Italia ed a Roma sopratutto, che avrebbe voluto conoscere, e dove non si era potuto recare ancora, lo faceva troppo soffrire.

Finalmente nel settembre del 1786 si trovò in grado di potere partire dalla Germania, e da Carlsbad, dove si trovava a quell’epoca, senz’averne fatta parola ad altri che al duca di Sassonia Weimar, dal quale dipendeva per ragioni d’impiego, e che gli promise il segreto, scese in Italia per la via del Brennero, e per Verona, Vicenza e Padova venne a Venezia, dove si trattenne un quindici giorni. Quindi per Ferrara e Bologna, senza fermarsi (che Iddio glie lo possa perdonare!) più di tre ore a Firenze, tanta era la furia che lo spingeva a Roma, proseguì il viaggio per Perugia e Foligno, ed il primo di novembre si trovava nella città eterna, e vi poteva quietare. Vi si fermò tutto l’inverno, ed al fine di febbraio del 1787 si portava a Napoli, dove si tratteneva tutto il marzo, ed in principio di aprile sbarcava a [p. vii modifica]Palermo. Visitava buona parte della Sicilia, dove non è comodo in oggi viaggiare nell’interno, ed era ben peggio allora; ed alla metà di maggio era di ritorno a Napoli. In principio di giugno si portava di bel nuovo a Roma, ed ivi si tratteneva quasi un anno, non avendola abbandonata che alla metà dell’aprile del 1788 per fare ritorno in Germania; ed allora, giustizia vuole che io dica, che essendo sazio il suo desiderio di vedere Roma, nel passare per Firenze vi si fermò più di tre ore, da quanto ho letto in altri, poichè la sua corrispondenza, ovvero narrazione del suo viaggio, cessa colla sua partenza da Roma.

Egli la pubblicò molti anni dopo il suo ritorno in patria, divisa in due parti, intitolate, la prima Italiänische Reise (Viaggi in Italia), la quale comprende il periodo dalla sua partenza da Carlsbad, fino a quella da Napoli per Roma, al suo ritorno dalla Sicilia; la seconda con il titolo di Zweiter Römischer Aufenthalt (secondo soggiorno in Roma) la quale giunge sino alla sua partenza da quella città, per restituirsi in Germania. Per eseguire quella pubblicazione Goethe non fece altro, fuorchè radunare le lettere che durante il suo soggiorno in Italia aveva scritte a vari suoi amici in Germania, e specialmente ad Herder ed alla signora di Stein, aggiungendovi, per il secondo soggiorno in Roma, durante il quale la corrispondenza cessa di essere regolare e quasi quotidiana, come nella prima parte, una notizia in fine di ogni mese, riassuntiva di quanto aveva fatto o [p. viii modifica]visto durante quel mese. Per tal guisa, come ben si può comprendere, l’opera non gli deve avere costata molta fatica, e si presenta, nella seconda parte sovratutto, in forma alquanto sconnessa, ovvero scucita, come dire si voglia.

Avevo letto quel libro alla sfuggita, sono molti anni, quando non mi difettavano per certe altre occupazioni, e poco tempo mi rimaneva da dedicare alla lettura di cose geniali, ma per dir vero, non mi era rimasta impressione troppo favorevole di quell’opera dell’autore del Faust. Avevo trovato poco dilettevoli tutte quelle sue digressioni geologiche; quelle sue continue notizie meteorologiche; m’erano parse strane lo sue teorie in questi particolari; e mi aveva urtato i nervi quella preoccupazione costante de’ suoi pensieri, delle sue sensazioni, de’ suoi scritti, de’ suoi lavori, di quella sua eterna Ifigenia. Talune sue osservazioni poi mi erano pure sembrate peccare di soverchia ingenuità, potersi dire quasi puerili. Così pure mi aveva fatto senso lo scorgere, che l’autore passava talvolta sotto silenzio assoluto cose notevolissime, spendendo per contro molte parole attorno ad altre, le quali per certo non le meritavano. Per esempio, non gli avevo potuto perdonare di non avere scritto una parola da Palermo intorno allo stupendo duomo di Monreale, e di avere dedicata tutta una lunga lettera, alle stramberie di pessimo gusto del principe di Palagonia. Però, comunque fossero le cose, chiusi in allora il libro, e per lunghi anni non pensai più nè a [p. ix modifica]Goethe, nè a’ suoi viaggi in Italia; quando nello scorso autunno il volume di questi mi venne per caso sotto mano in villa, ed in un momento in cui non tenevo altro libro sul tavolo, che solleticasse la mia curiosità. Lessi le prime pagine di quello, senza nessuna intenzione di andare più oltre; se non che, una pagina dopo l’altra, mi trovai avere finito il libro, ed allora mi parve che io lo avessi giudicato, anni sono, con troppa severità. Che sia stato forse, perchè i giovani, ignari tuttora delle difficoltà della vita, sono meno portati all’indulgenza che i vecchi, i quali ebbero a far prova di quelle?

Io non lo so. Quello che io so bensì, si è, che io lessi per la seconda volta quel libro con piacere, e che indipendentemente dal fatto, che qualunque scritto uscito dalla penna di un gran genio, quale si fu il Goethe non può essere privo di merito, nelle teorie geologiche, le quali mi erano sembrate strane alla prima lettura, mi parve scorgere alla seconda, per quanto valgo a portarne giudizio, l’intuizione di scoperte fatte più tardi. Così pure nelle continue osservazioni sul bel tempo e sulla pioggia, sulle nuvole e sui venti, le quali mi avevano prodotta la prima volta l’impressione di un bolletino meteorologico, credetti ravvisare l’omaggio reso da un abitante delle contrade settentrionali, allo splendore del nostro sole, alla limpidezza della nostra atmosfera, alla mitezza del nostro clima, benefici inestimabili dei quali Iddio fu largo al nostro paese, e per i quali noi non [p. x modifica]gli professiamo tutta quella gratitudine che pure gli dovressimo, perchè siamo assuefatti a goderli fin dai primi anni.

Parimenti mi sembrò, che fra tanti e tanti, i quali vivono alla giornata, senza darsi mai ombra di pensiero nè dello scopo della loro vita, nè delle loro idee ovvero sensazioni, potesse essere esempio pregevole quello di uomo di raro ingegno il quale se ne preoccupa anche di soverchio, e che in ogni caso poi, non potesse che riuscire di ottimo esempio l’operosità fisica ed intellettuale di Goethe, il quale tutto voleva vedere, tutto conoscere, tutto studiare; che nel soggiorno di poco più di un mese a Napoli, faceva per ben tre volte la salita al Vesuvio, ai piedi del quale nascono, vivono, e muoiono migliaia e migliaia di persone, senza provare mai il desiderio di salire su quella vetta, che pure scorgono di continuo davanti ai loro occhi; che tormentato dal mal di mare, serbava tanta energia di volontà, da ridurre durante quello, in versi un suo dramma.

Mi parve inoltre che quelle pagine rivelassero un senso squisito delle bellezze naturali, che noi non apprezziamo abbastanza, per quella stessa cagione la quale ci rende poco men che indifferenti allo splendore del nostro sole, alla limpidezza della nostra atmosfera, alla mitezza del nostro clima. Parimenti mi colpì in quelle pagine, il giusto criterio delle cose pratiche, al quale io non mi sarei, per dir vero, aspettato da un poeta, e che farebbe onore a qualunque spirito positivo. [p. xi modifica]

Per ultimo mi sembrò che potessero porgere interesse abbastanza generale le nozioni intorno al modo di viaggiare di meno di un secolo fa, cotanto diverso da quello dei giorni nostri, non che i cenni intorno agli usi ed ai costumi in Italia a quell’epoca, quali comparivano agli occhi di un forastiere, e parimenti mi parve, che certe pagine, quali ad esempio quelle che narrano la scena dell’autore scambiato per un emissario austriaco dagli abitanti di Malsesine sul lago di Garda, quando stava disegnando le rovine di quell’antico castello; le usanze ed i costumi di Venezia, quali ce li rappresenta nelle sue comedie il Goldoni; la discussione nel palazzo ducale di Venezia della lite intentata alla consorte del doge; le serate artistiche di Frascati, presiedute del conte di Riefenstein; il pranzo a Napoli in casa della principessina bizzarra e ricciuta; la visita a Palermo alla famiglia del Cagliostro; quella a Catania al principe ed alla principessa di Biscari; le scene comiche con quel cervello balzano del vecchio e burbero governatore di Messina; la descrizione del viaggio avventuroso per mare, da Messina a Napoli; l’ultima serata passata a Napoli presso la principessa Giovine, ed altre pagine ancora, fossero tali, da farsi leggere con diletto da chiunque. Mi sembrò pertanto in complesso, che il libro potesse riuscire, nella prima parte, (che quella del secondo soggiorno a Roma, quasi tutta personale, porge interesse di gran lunga minore, e per apprezzarla converrebbe essere Tedesco, ed avere [p. xii modifica]come tutti i Tedeschi il culto di Goethe) uno di quei libri piacevoli senz’essere però frivolo, che valgono ad alleviare la noia di una giornata piovosa in villa, ovvero di quella, più lunga ancora a trascorrere, di viaggio nel carozzone della ferrovia, sopra una strada che si percorra per la centesima volta.

Mi trovavo per l’appunto in villa. Non pioveva, che l’autunno nello scorso anno fu di tale inarrivabile bellezza, che chi sa quante pagine mai avrebbe ispirato al Goethe se lo avesse potuto godere, ma non avevo occupazione. Per fare una cosa, tradussi gl’Italiänische Reise, e poichè ho sostenuta la fatica del tradurli, pubblico la mia versione, augurandomi di poterla trovare talvolta sul tavolo di un villeggiante il quale non si diverte, o vederla nelle mani di un qualche compagno di viaggio in ferrovia, il quale, prima di dare di piglio al libro, minacciasse addormentarsi per assenza di diletto. Che se poi questa mia lusinga dovesse incontrare la sorte che tocca per lo più alle speranze, alle lusinghe, vale a dire il disinganno, non vi sarà gran male. Il culto dei Tedeschi per Goethe non ne soffrirà detrimento per certo; ed il traduttore de’ suoi Italiänische Reise non si darà soverchio pensiero se si dirà, ch’egli avrebbe potuto impiegare meglio le ore del precoce suo otium cum dignitate, sinonimo questo troppe volte, per chi conobbe vita meno disutile, di noia, e di sbadigli. E da questi, la scampi Iddio, benigno signor lettore!

AUGUSTO DI COSSILLA.