Ricordi delle Alpi/Parte Prima/XI

La cascata d’Antognasco

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XI.

La cascata d’Antognasco.

Lasciato il ponte, rifeci d’alquanti passi la via sino all’Antognasco, le cui chiare acque rivoltansi frementi in un letto stretto e sassoso, desiose di presto confondersi nel prossimo sottostante Màllero.

Passai il ponticello meschino che lo cavalca, dove più sotto scorgesi un laghetto, in cui anni addietro perirono annegati due poveri contadini; si può dire, che quegl’infelici siensi affogati in un bicchier d’acqua!

— Ehi, quella contadinella! dissi a una giovinottina, che frettolosa passava oltre con un fascio di frasche; vorreste farmi il piacere d’indicarmi il più breve e sicuro tratto per giungere alla cascata?

Gittato il fastello d’erba sul muricciuolo, tutta sfiaccolata e ansimante dal caldo piucchè dalla fatica, astergendosi col dorso della mano il sudore: — La non le torna, rispondeva, di prendere questi tragetti; segua la via sino a quelle case là, e pieghi poi a destra traversando il sentiero, che fiancheggia [p. 60 modifica]il còlto; la vi si troverà proprio di faccia: ma badi alla sponda, chè l’erba è bagnata e la riva sdrucciolevole e alta.

— Tante grazie, la bella giovine; siete proprio un fiore di questa valle.

Non venne rossa, chè già avea la facca accesa dal caldo e dalla fatica; borbottò confusa alcune parole, e mi lasciò passar oltre abbassando i grandi suoi occhi: in breve feci il cammino indicato, e mi trovai quasi dirimpetto, nella più possibile prossimità, alla cascata d’Antognasco.

Accoccolatomi sull’erba, mi posi fiso a contemplar la cascata e non tardai a cadere nelle mie solite e stravaganti fantasie; — ed ecco alla mente il Niagara.

Il Niagara? Chi non ha sentito le meraviglie della forza poderosa delle acque ne’ salti spaventosi di quella riviera? Chi non ha immaginato con sensi del più arcano terrore la perpendicolare caduta di cento cinquantasei piedi d’altezza e la larghezza prodigiosa del suo diametro, a mo’ di ferro di cavallo? Massi vorticosi di vapori, che levansi dai fasci colossali delle acque rompenti con fremito di sovrumana ira, salgono a confondersi col cielo, mentre spesso i raggi di magnifico sole vi dipingono una zona sconfinata d’arcobaleno, nunzio di una sublime e misteriosa [p. 61 modifica]potenza, di moti ineffabili d’amore e di entusiasmo.

Allora è solenne compiacimento osservare l’uccello della tempesta, il circeto solitario, ruotarsi con l’ala tesa e remigante su que’ terribili abissi, affrontare l’impeto delle acque, i vaporosi vortici, le diaccie raffiche, e, svanendo per quel turbine sinistro, levarsi..., levarsi con l’orgoglio maestoso della vittoria a respirare l’aere convulso dell’opposta sponda.

Ma qui non siamo al Niagara, nè sulle sponde del Reno, nè presso le impenetrabili sorgenti del Nilo, nè vicino le acque del prœceps Anius cantato dal Venosino: non è il sublime che ispira, ma la calma della natura, il ritiro, la solitudine solenne.

Non so perchè sulle umili prode dell’Antognasco abbia pensato a Byron, forse per la prossimità della Svizzera, dov’e’ pure un giorno cercava influssi di pura poesia nelle sue escursioni. Esempigrazia, ecco una nota di Giorgio, che può andare al lettore:

«Settembre, 22. Mi partii da Rhun in battello, che ci trasportò per la lunghezza del lago in tre ore. Piccolo è il lago ma belle le sponde, dirupi giù fino alla superficie dell’acqua: sbarco a Neuhan, passo Interlaken, m’innoltro per una serie di bellezze superiori [p. 62 modifica]a ogni descrizione, a ogni immaginazione. Passo una roccia con un’iscrizione: «Due fratelli; uno ammazzò l’altro proprio qui!» Dopo infiniti andirivieni giungo ad un’enorme montagna (Jungfrau): ghiacciaie, torrenti: uno scoscendere visibilmente giù per novecento piedi. Albergo dal curato; esco a vedere la valle; ascolto la valanga, che precipita come un tuono! Orribili ghiacciai, tuoni e lampi e grandini nella bellezza della perfezione. Il torrente scaturisce ricurvo sopra gli scogli a guisa della coda d’un cavallo bianco ondeggiante nel vento: così potrebbe immaginarsi che fosse il cavallo pallido, sopra il quale è montata la morte nell’Apocalisse: non è nebbia, non acqua; una qualche cosa tra queste due: la sua immensa altezza presenta un’onda, una curva, uno spruzzo qui, un gorgo là, meraviglioso, indescrivibile.»

Com’è bello leggere su questi sassi brani di Byron, e come si coloriscono le note del prigioniero di Chillon in mezzo a queste montagne!

Io continuava a osservare la «cascata di Antognasco,» fisso, con tutta l’anima sugli occhi, come se un arcano potere mi vi tenesse afferrato.

Il sole, discorrente già in alto, voluttuosamente sprazzava i suoi raggi su quella [p. 63 modifica]copiosa massa di acque, che dalla punta del monte si divalla per trenta o trentacinque metri circa, ruinante al basso nel piccolo sottoposto lago, che la furia ed il peso di quelle hanno cavernosamente scavato nel fianco sassoso del monte. Il macigno non essendo tagliato a perpendicolo, ma lievemente curvo e armato d’irte e piccole punte, l’acqua vi si flagella in minutissimi spruzzi trabalzati a grandissima distanza e sfumanti in un’atmosfera pluviosa, che rifrange i colori dell’iri.

In fatti, a un indistinto color di viola veniva a sovrapporsi un mite colore d’arancio, il cui lembo orizzontale superiore si tingeva d’un roseo lene lene e gentile; e, nelle infinite stille dell’onda, che con rabidi moti cadevano, traversavano, lottavano, mescevansi, turbinavano, appariva il luccichìo della più variegata luce, come quella che si mostra sul topazio, sugli smeraldi, sui rubini, nei brillanti, sull’oro, l’argento, le agate, l’ambra, il corallo ed altri infiniti.

L’aria fremente confortava con dolce frescura, mitigando il fastidio del sole cocente alle erbe romite delle sponde: le nari, dilatate da vellicante voluttà, aspiravano la fragranza dei fiori, i cui calici con assidua vece scuotevansi sotto la perenne agitazione dell’atmosfera. [p. 64 modifica]

Com’era bello osservare le foglie degli arbusti, delle erbe, de’ fiori sopraccariche di gocciole splendenti che, simili a gioconde lagrime di vergine, cadevano, grato umore al terreno, mandando l’ultimo tremolìo della fugacissima lor vita!...