Ricordanze della mia vita/Appendici/III. Difesa di Luigi Settembrini scritta per gli uomini di buon senso/Capo IV. - Sguardo generale sul processo

Capo IV. - Sguardo generale sul processo

../Capo III. - Processo dell'esplosione innanzi la reggia il 16 settembre 1849 ../Capo V. - Prima e seconda dichiarazione di Luciano Margherita, fondamento principale dell'accusa IncludiIntestazione 17 novembre 2021 100% Da definire

Capo IV. - Sguardo generale sul processo
III. Difesa di Luigi Settembrini scritta per gli uomini di buon senso - Capo III. - Processo dell'esplosione innanzi la reggia il 16 settembre 1849 III. Difesa di Luigi Settembrini scritta per gli uomini di buon senso - Capo V. - Prima e seconda dichiarazione di Luciano Margherita, fondamento principale dell'accusa

[p. 526 modifica]

CAPO IV

sguardo generale sul processo

Gettando uno sguardo sopra tutta la immensa mole del processo, si vede che tra le denunzie e le confessioni, tra gl’indizii, gli artifízii, e le pruove sorge una pruova gigantesca, scorgesi un gran fatto che genera tutti gli altri, odesi una voce generale ed uniforme: che tutto quello che si dice avvenuto, è avvenuto perché si voleva togliere la costituzione; che la stessa esplosione avvenne per impedire una dimostrazione anticostituzionale. Se si vogliono ritenere i fatti se ne deve ritenere ancor la cagione ch’è questa: se il fatto è reo, piú rea è la cagione che lo produce: e se non si rimuove questa cagione è inutile punire questi fatti, che ne nasceranno altri piú gravi. È tristamente vero che le cose umane sono governate dalla forza, e che quando un partito vince opprime l’altro senza guardare a diritto o a giustizia, parole inventate dai deboli ed usate in pace. Ma la pubblica opinione è anche forza, e la storia che registra i giudizi delle nazioni e dispensa l’onore e l’infamia ha qualche potenza che non hanno i cannoni. Un giorno si saprá con orrore che nel nostro paese una fazione retrograda e stoltamente nemica di se stessa, del principe e della nazione, ha congiurato e congiura per rovesciare la costituzione; e bestialmente sdegnandosi contro quelli che a lei si oppongono, li accusa di cospirazione contro quel governo che essa cerca di abbattere, li chiama con quei nomi che convengono a lei, li giudica con quella legge che condanna lei, li condanna a quella pena che essa dovrebbe subire. Questo fatto sorge luminoso e grande sopra tutto il processo, ed esso solo basta per annullarlo, e rivolgerlo non contro i quarantadue accusati, ma contro i nemici del principe e del paese che compongono la fazione retrograda. E sebbene questa fazione sia una setta, e come tale dovrebbe essere punita; pur non dimeno se quelli che a lei si oppongono hanno scelto il mezzo della setta, questo mezzo è reo, e deve essere punito. Io non nego né affermo l’esistenza della setta dell’Unitá italiana; quantunque potrei dire che i denunzianti ed i confessi, se togli l’Iervolino, non parlano di giuramento, senza il quale la legge non riconosce setta; che le riunioni non sono provate, o almeno non hanno carattere settario: io affermo e sostengo che io non [p. 527 modifica] sono settario. Io son certo, e lo proverò in modo che altri avranno la mia certezza, che il processo è una gran macchina inalzata dalla polizia sopra pochi fondamenti veri, e che due o tre uomini insofferenti e sconsigliati, volendosi opporre a chi voleva distruggere la costituzione, posero mano a varii mezzi, usarono varii inganni, si servirono dell’autoritá di varii nomi, e forse tentarono anche la setta; la polizia li scoprí, li credette utili ai suoi disegni, li circondò dei suoi agenti, li fe’ consigliare satanicamente, li spinse ad ogni eccesso, li condusse fino ad un fatto che avesse colpito le fantasie altrui, ma non avesse nociuto a persona, e poi formò un processo che pare un castello incantato, e nel quale ha posti gli uomini che essa voleva perdere. Queste sono arti sue, ed arti vecchie: cosí mescolava i suoi agenti tra quelli che piú oscenamente gridavano abbasso; cosí li mescolava tra quelli che formarono le barricate il 15 maggio; e cosí per mezzo loro suole accendere e ravvivare ogni opera scellerata. Ma l’anello che romperá questo incanto è la ragione. Esaminiamo dunque il processo.

Prima che Salvatore Faucitano, accusato come autore di quella esplosione, fosse arrestato la mattina del 16 settembre innanzi la reggia, in un’altra strada della cittá verso l’alba dello stesso giorno era arrestato il Vellucci come colui che aveva affisso ad una cantonata un cartello nel quale si consigliava il popolo di non concorrere alla benedizione del papa. Costoro dissero di avere ciò fatto per consiglio ed ordine di quel Francesco Giordano, del quale ho parlato innanzi, e con l’opera e l’aiuto di Francesco Catalano, di Errico Piterá, e di altri. Dimandati ambedue se sapessero l’autore dei cartelli, il Vellucci disse non saperlo, il Faucitano rispose: «Giordano non indicò colui che aveva i cartelli scritti, però da Catalano venne a sapere che egli aveva fatto il borro de’ cartelli, e che fattolo rivedere nelle prigioni a Poerio e Settembrini, il primo lo voleva moderato verso il governo, l’altro cioè il Settembrini intendeva farlo oltremodo vibrato; ma che egli rifacendolo vi aveva dato del settembriniano e del poeriano: cosí l’aveva fatto affiggere senza nemmeno indicarmi per mezzo di chi1». Il Catalano nel suo interrogatorio del 28 settembre confessa che egli ed il Piterá scrissero di loro mano i cartelli: poi soggiunge queste parole: «Animandosi quistione tra me ed il Piterá su di una frase dei detti bigliettini che Piterá diceva non essere acconcia, io sostenni [p. 528 modifica] il contrario e per mera millanteria, mentre in realtá non ve n’era niente, dissi di averli fatti leggere a Poerio ed a Settembrini, il primo detenuto di San Francesco, l’altro in Santa Maria Apparente; anzi per dare piú tuono alla cosa dissi che Poerio era sempre transigente, perché aveva fatto togliere alcune parole del proclama: ma questo è meramente falso, perché tali individui non li conosco affatto2. Ecco come sono nominati due uomini onesti perché hanno fama di amare onesta libertá e di sapere accozzar due parole scrivendo. Il Catalano ci nominava perché ci aveva intesi nominati da altri, i quali vendevano i nomi nostri e di altre persone. Or qui si dee sapere che il Catalano è un uomo d’anima, tutto di chiesa e di orazioni, ha confessato ingenuamente il fatto suo, e non si è mai smentito. L’istruttore che lo aveva odorato, dopo gl’interrogatorii gli si appoggiava al braccio, e passeggiando per la stanza, e carezzandolo gli dimandava mille cose, e due ne voleva sapere per forza, che il Poerio ed io avevamo scienza di quei cartelli, e che il Giordano aveva stretta corrispondenza coi detenuti di Santa Maria Apparente. Se il Catalano non fosse stato un uomo di coscienza, se non avesse confessato ingenuamente di aver detto una bugia per dar tuono alla cosa, il Poerio ed io avremmo anche quest’altra accusa: la quale essendo invincibilmente provata stolta e falsa, non ci tocca piú, ed io la getto e la dimentico.

Il fatto dei cartelli e della esplosione è originato da quel Giordano, verso il quale la polizia mostrò sí buone viscere e tanta materna amorevolezza che fa meraviglia. Dappoiché se abbiam veduto e vediam arrestar la gente a furia e per niente, e rimaner dimenticata in carcere; se è stato arrestato e giudicato dalla corte criminale un Eduardo Cassola fanciullo di dodici anni per avere scritta una lettera fanciullesca ad un compagno di scuola della stessa sua etá; il Giordano accusato settario dall’Iervolino, e che ha in casa due note di centosettantasette persone, non è arrestato affatto; ma è carezzevolmente chiamato dalla polizia, che lo ammonisce a dire il vero, e dopo un mese gli dá la correzioncella di tenerlo sedici giorni per esperimento in prefettura, e lo libera il 19 agosto. E dopo il 16 settembre la polizia avendolo scoperto capo settario e capo di un comitato, non adopera quella sua profonda sagacia, decantata dal procurator generale nell’atto di accusa, [p. 529 modifica] non ne segue le tracce, non va fiutando per iscovarlo dal nascondiglio, anzi neppure lo cerca e gli dá tempo ed agio di uscire dal regno. O la polizia ha cangiato natura, o la cosa va ben altrimenti. Compagno ed amico del Giordano era Angelo Sessa, sotto direttore dello stabilimento dei matti a Pontirossi, il quale nel processo è qualificato col titolo di «uomo pieno d’impegni e di estesi rapporti». La polizia doveva sapere che costui era un cervello torbido, un uomo pericoloso, e nientemeno che capo di un circolo o comitato; perché Achille Vallo soldato congedato3 nel suo interrogatorio del 28 settembre dice: che sei o sette mesi prima per mezzo del Margherita conobbe il Sessa, fu ascritto nel comitato di cui questi era presidente; che egli vi si ascrisse per consiglio di don Domenico Mercurio agente del governo, e che a costui poi diceva fedelmente e minutamente ogni cosa. Ed il Vallo chiamerá il Mercurio per provare i suoi detti. Doveva la polizia saperlo perché in casa Giordano trovò la nota di Sessa; perché quando fu chiamato Gaetano Errichiello disse che fra gli avventori e parlatori nel suo caffè andava il Sessa; perché è cosa nota che di poi si fece una perquisizione in casa del Sessa; il quale fu sempre cercato e non mai trovato. Doveva la polizia saperlo, perché il 7 settembre gli agenti segreti Natale Ardissone e Michele Andreozzi scrivevano al prefetto che Angelo Sessa, Giovanni Fiorentino, e Luciano Margherita avevano giurato di ucciderlo con «pugnalarlo nell’ora della ritirata; che tengono delle riunioni settarie demagogiche ma sempre in diversi luoghi per non essere scoperti»; che Raffaele Ubaldini conosce tutto e può dirlo4. L’Ubaldini, altro agente di polizia, conferma ogni cosa, specialmente contro il noto demagogo don Angelo Sessa5. Si sa tutto dalla polizia, e non si cerca il Sessa, il quale non si può dire nascosto, perché aveva relazione con i suoi affiliati, perché mandava danari e panni al Margherita sul finire di agosto, perché era in casa Catalano la sera del 14 settembre, perché era conosciuto e seguitato dal Vallo. Il prefetto dorme sul suo pericolo, forse perché non lo crede: ma dopo il 16 settembre che il Sessa è stato scoperto settario e capo, non è carcerato, e assai comodamente se n’esce dal regno come il Giordano. [p. 530 modifica]

Questi due amici col Catalano, col Vallo, col Francesco Antonetti, col Vellucci, col Piterá si radunavano nella bottega da caffè di Gaetano Errichiello a Pontenuovo, ed ivi tra il fumo e le tazze discorrendo di politica, gridavano, spropositavano, facevano i piú strani disegni del mondo; i quali sarebbero rimasti innocenti disegni se la polizia non vi avesse posto la mano. Udite che dice di loro il caffettiere Errichiello, il quale dopo di aver detto che tutti i soprannominati frequentavano il suo caffè soggiunge: «Avvenuto lo scioglimento delle camere legislative, Sessa, Catalano, e Giordano intensamente dispiaciuti, e con accanimento si pronunziavano contro il ministero d’allora, rivolgendo fra l’altro il loro risentimento ai ministri Bozzelli e Ruggiero, che quantunque creati dalla rivoluzione propugnavano per abbattere la costituzione. Tutti i surriferiti individui seguitarono a venire nel caffè, quando circa due mesi dopo a tale epoca in una mattina Sessa e Giordano parlando tra loro di affari politici, intesi che il Sessa diceva all’altro che era necessario starsi uniti, ma che per conseguire tale scopo faceva d’uopo d’istallarsi dei circoli. Giordano vi si opponeva dicendo che i circoli a nulla menavano, ma sibbene si doveva badare allo spirito pubblico e siccome Sessa insisteva nella sua opinione se ne andarono questi contrastati: ed in effetti per due o tre giorni non si trattarono. Quindi essendosi di bel nuovo avvicinati decisero d’istallare i circoli ecc.6.

Dopo di costui udiamo quel dabben uomo di Catalano nella sua ingenua confessione che ritrae tutta la serenitá d’una coscienza pura, e che è principale elemento del processo: «Nel mese di aprile e di maggio ultimo con esso Giordano guardando la situazione d’Italia nella consumazione d’ogni vestigio liberale in Napoli, e persuasi che ciò avveniva non per mala fede del re ma per la corruzione degli uomini, progettammo di formare un comitato diretto allo scopo di effettuare la costituzione col titolo di comitato di operazione, il quale avrebbe dovuto dipendere da un altro comitato superiore che progettammo di fare istallare nelle carceri di Santa Maria Apparente fra quei detenuti politici (allora dei nominati c’era colá il solo Agresti), tendente a costituirsi in comitato di direzione, ma quest’ultimo comitato per quanto io ne sappia non si costituí. Intanto verso la fine di luglio o i principii di agosto ultimo, vedendo che le cose invece di migliorare [p. 531 modifica] andavano al peggio, risolvemmo d’attuare isolatamente il detto comitato di operazione; e fu perciò che io ne parlai al Sessa, questi al Gualtieri, e Giordano ne tenne parola a Faucitano, acciò ognuno si fosse cooperato a rinvenire i mezzi per l’attuazione del medesimo7». E l’Antonetti dice anch’egli lo stesso: «Rivedendoci quasi tutte le sere nel caffè di un tale Errichiello alla strada Pontenuovo seppi da Sessa che costoro tutti dipendevano da lui per rendere servizi al comitato che Sessa con Giordano e Catalano sempre progettavano e dicevano voler istallare, ma mai se ne vide l’effetto, tanto che principiammo a dare ai medesimi del ciarlone. Non ci siamo mai riuniti in qualche casa, e non si è detto lo scopo a cui tendeva il comitato che Sessa intendeva creare: solo sentiva dire da Sessa medesimo che si doveva sostenere la costituzione che dal re era stata conceduta 8». Il Vellucci, il Vallo, il Piterá dicono le stesse cose. Onde si vede chiarissimamente che la setta, i comitati, i circoli, i concerti, le dimostrazioni, le uccisioni, e tutto quell’abisso di rivoluzioni che apparisce dal processo sono un racconto di fate che si faceva dal Sessa, dal Giordano ai loro amici nel caffè dell’Errichiello: sono sogni di fantasie napolitane che gareggiavano nell’immaginare, che credevano vero quello che essi immaginavano, e credettero di fare uno sforzo da scrollare il mondo con affiggere due cartelli manoscritti, e sperare un salterello innanzi la reggia. Se non ci fosse lo spirito di parte che ingrandisce e maligna ogni cosa, se non ci fosse la polizia che trasforma ogni azione in delitto, questi fatti dovrebbero far ridere la gente di buon senno. Il Sessa ed il Giordano per dar credito alle loro fantasie parlavano di un gran comitato o di un grande consiglio che stava nelle nuvole, e talvolta scendeva in tutta la sua grandezza sull’altura di Santa Maria Apparente, come gli Dei di Omero discendevano a consiglio sul monte Ida: e di questo alto consiglio essi erano parte, essi lo ragunavano, essi ne eseguivano i decreti, essi ne sapevano le intenzioni, essi ne erano mente ed esecutori insieme. Quelli li ascoltavano intenti e ne bevevano le dorate parole. Povere menti umane! poveri sognatori cercati a morte dal procurator generale!

Il Sessa ed il Giordano sono assenti, perché la polizia avendoli circonvenuti con i suoi agenti ed avendoli spinti dove essa [p. 532 modifica] voleva, capiva bene che questi non avrebbero detto quello che essa desiderava, anzi avrebbero svelato qualche segreto importante, avrebbero detto nettamente come andava la cosa, non si sarebbero avvolti nel processo gli uomini odiati e segnati di nero; onde finse di dormire, li fece fuggire, e poi li fece parlare come essa voleva per bocca de’ loro seguaci. Non c’è potenza di ragione umana che su questo punto possa negare che la polizia è o calunniatrice, o incredibilmente sciocca. E chi vorrá crederla sciocca? Il Giordano ed il Sessa formano l’anello che unisce la esplosione alla setta, ed all’alto consiglio: e le dichiarazioni di Luciano Margherita loro confidente, che dice quello che ha inteso da loro, sono il principal perno intorno a cui si aggira il processo. Io le esporrò minutamente nel capo seguente.


Note

  1. Vol. 22, fol. 119 a 130.
  2. Vol. 24, fol. 154.
  3. Vol. 24, fol. 52 .
  4. Vol. 25, fol. 126.
  5. Vol. 25, fol. 128.
  6. Vol. 24, fol. 6.
  7. Vol. 24, fol. 54.
  8. Vol. 24, fol. 23.