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[527] difesa di luigi settembrini 241


sono settario. Io son certo, e lo proverò in modo che altri avranno la mia certezza, che il processo è una gran macchina inalzata dalla polizia sopra pochi fondamenti veri, e che due o tre uomini insofferenti e sconsigliati, volendosi opporre a chi voleva distruggere la costituzione, posero mano a varii mezzi, usarono varii inganni, si servirono dell’autoritá di varii nomi, e forse tentarono anche la setta; la polizia li scoprí, li credette utili ai suoi disegni, li circondò dei suoi agenti, li fe’ consigliare satanicamente, li spinse ad ogni eccesso, li condusse fino ad un fatto che avesse colpito le fantasie altrui, ma non avesse nociuto a persona, e poi formò un processo che pare un castello incantato, e nel quale ha posti gli uomini che essa voleva perdere. Queste sono arti sue, ed arti vecchie: cosí mescolava i suoi agenti tra quelli che piú oscenamente gridavano abbasso; cosí li mescolava tra quelli che formarono le barricate il 15 maggio; e cosí per mezzo loro suole accendere e ravvivare ogni opera scellerata. Ma l’anello che romperá questo incanto è la ragione. Esaminiamo dunque il processo.

Prima che Salvatore Faucitano, accusato come autore di quella esplosione, fosse arrestato la mattina del 16 settembre innanzi la reggia, in un’altra strada della cittá verso l’alba dello stesso giorno era arrestato il Vellucci come colui che aveva affisso ad una cantonata un cartello nel quale si consigliava il popolo di non concorrere alla benedizione del papa. Costoro dissero di avere ciò fatto per consiglio ed ordine di quel Francesco Giordano, del quale ho parlato innanzi, e con l’opera e l’aiuto di Francesco Catalano, di Errico Piterá, e di altri. Dimandati ambedue se sapessero l’autore dei cartelli, il Vellucci disse non saperlo, il Faucitano rispose: «Giordano non indicò colui che aveva i cartelli scritti, però da Catalano venne a sapere che egli aveva fatto il borro de’ cartelli, e che fattolo rivedere nelle prigioni a Poerio e Settembrini, il primo lo voleva moderato verso il governo, l’altro cioè il Settembrini intendeva farlo oltremodo vibrato; ma che egli rifacendolo vi aveva dato del settembriniano e del poeriano: cosí l’aveva fatto affiggere senza nemmeno indicarmi per mezzo di chi1». Il Catalano nel suo interrogatorio del 28 settembre confessa che egli ed il Piterá scrissero di loro mano i cartelli: poi soggiunge queste parole: «Animandosi quistione tra me ed il Piterá su di una frase dei detti bigliettini che Piterá diceva non essere acconcia, io sostenni

L. Settembrini, Ricordanze della mia vita - ii. 16
  1. Vol. 22, fol. 119 a 130.