Raimondo Montecuccoli, la sua famiglia e i suoi tempi/Pref
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Filippo Luigi Polidori, uomo degli studi storici benemerito, pubblicando nell’Appendice del Tomo V dell’Archivio Storico Italiano (anno 1847) alcuni pregevoli documenti manoscritti della raccolta del marchese Gino Capponi risguardanti il generale Raimondo Montecuccoli, lamentava che «l’istoria della vita di un tanto uomo, a cui l’arte della guerra deve gran parte de’ suoi progressi, non fu ancora degnamente nè pienamente scritta da penna italiana: e dopo 165 anni dalla morte del gran modenese dobbiamo pur contentarci del breve elogio che ne dettò, nel 1775, il reggiano Paradisi». Non è già che gl’italiani scrittori contemporanei del Montecuccoli venissero meno al debito loro di serbare ai posteri quanto venne a lor conoscenza circa le imprese militari di quell’illustre generale; chè uno anzi di loro, tra gli altri, si rese benemerito raccogliendo con amorosa cura nelle molte sue opere di Storia notizie opportune ad illustrar le geste di questo gran capitano, del quale ci lasciò anche una compendiosa biografia. Intendo di Gualdo Priorato, che fu alcun tempo commilitone di lui, e che assai volte avremo a nominare in queste storie, per avvalorare colle parole di un testimonio autorevole delle cose a suo tempo accadute, la nostra narrazione. E col Priorato, il Siri, il Brusoni, il Gazzotti e più altri scrittori di quell’età o delle successive ci forniranno materiali confacenti all’uopo nostro.
Le opere degli storici stranieri ch’ebbi agio di consultare, se utili mi torneranno per chiarire gli avvenimenti, e quelli militari soprattutto, dell’epoca di Raimondo; circa la biografia di lui nulla o poco ne porgono, che accresca le notizie date dagli storici italiani, e più dai documenti inediti ai quali accenneremo.
Dagli scrittori tedeschi, infaticabili ricercatori delle antiche memorie d’ogni paese, e profondi indagatori delle cagioni dalle quali originarono i fatti anche se di non gran momento, era da attendersi che, rispetto a Raimondo nonchè ad Ernesto Montecuccoli, non avrebbero perdonato a fatiche per illustrarne la storia. Pochi invero più di codesti due hanno ben meritato della Germania. Ma il secondo di essi appena è che in addietro venisse da loro ricordato, e di Raimondo non ci dettero che biografie di poco conto. Uno Spenholtz mise fuori in Vienna nel 1668 una scrittura intitolata: Aureum vellus, seu catena virtutum Raimundi comitis Montecuculi, e una vita di quel generale (R. Montecuculi’s Leben) fu stampata in Vienna nel 1792 e nel 1802; un prete trasse poi dalle avventure di lui un dramma, che un dotto alemanno mi scrisse non avere in sè alcun valore. Niuna di queste opere mi fu dato vedere, e le credo poco note anche in Germania. Più conosciuti sono i cenni, nè esatti, nè copiosi, che Enrico Huissen, consiglier di guerra dello czar Pietro il Grande, prepose all’edizione ch’ei fece in Colonia nel 1704 (e fu la prima) delle Memorie del Montecuccoli, nell’originale italiano, cenni che alcuna volta ci occorrerà di citare, ma che non bastano guari a farci conoscere a dovere il nostro grande italiano. Questo, quant’è agli scrittori più antichi. Circa i moderni, a me noti, di rado avviene che i nomi de’ Montecuccoli si trovino nelle pagine loro. Questi poi appaiono avversi sovente, e talvolta senza moderazione alcuna, agli italiani, che, nelle guerre de’ trent’anni specialmente, vennero in nominanza; e alquanti di loro lasciano anche scorgere i giudicii ch’ei recano derivati dal fatto, che i generali e i colonnelli italiani dell’esercito di Wallenstein, anzichè le parti di lui, tennero quelle dell’imperatore. Il Menzel per altro, nella sua bella, ma non imparziale storia della Germania, quantunque dichiarato nemico de’ generali italiani, contro i quali (e specialmente contro il Piccolomini, uno dei più grandi guerrieri del tempo suo) non trova termini bastanti a vituperarli, benchè poco dica del Montecuccoli, lo fa tuttavia con parole di tanta venerazione, da meritargli per questo lato dagli italiani quella gratitudine, della quale in troppe altre occasioni sembra volerli esonerare.
Lo Schiller nella sua celebre storia della Guerra dei trent’anni, che il Mailàth, storico dell’impero d’Austria, giudica spiritosissima, ma parziale, mal sicura e storia più poetica che vera, neppure fa menzione di Ernesto e di Raimondo Montecuccoli. Del primo di essi diremo a suo luogo, come, nel magnifico suo dramma Wallenstein, ci sembra che a lui alluda per mostrarlo traditore, quando non era più fra i vivi.
Il Mailàth or nominato, devoto alla casa imperiale, procedeva con intendimenti diversi da quelli di altri scrittori poco favorevoli alla corte di Vienna; al solo Raimondo nondimeno egli comparte intere quelle lodi che va parcamente misurando ad altri valenti italiani, di alcuni de’ quali neppur fa menzione.
Se per altro da questo e da quello storico si può ritrarre alcuna cosa che si riferisca alla vita militare del generale Raimondo Montecuccoli, e più ai casi avvenuti al tempo suo, sono i documenti inediti quelli che conservaronci moltissimi particolari circa la vita intera e le imprese di lui. Emendano essi altresì alquanti errori cronologici ne’ quali incorsero i più degli storici. E di cotali documenti abbonda l’archivio di stato in Modena, che fu degli Estensi, i quali a tutt’agio potei consultare mercè della gentile annuenza del cavalier Giuseppe Campi, e del degno suo successore nella direzione di quell’archivio, cavalier Cesare Foucard. Una cura particolare si presero già i duchi di Modena nel secolo XVII di tenersi informati di quanto risguardava quel famoso suddito loro: i diplomatici pertanto ch’ei mandavano a Vienna, spesso diedero conto ne’ lor dispacci di ciò che veniva egli operando. Chi poi vorrà leggere queste storie, vedrà come siano essi benemeriti della biografia del general modenese. Il conte Ottavio Bolognesi, tra essi, merita più specialmente la riconoscenza nostra pel molto ch’egli ebbe a riferire intorno a lui, del quale fu amico vero, durante i sedici anni da lui passati come ministro estense a Vienna. Nè solo per codesto motivo ben meritò egli della storia, ma perchè ci lasciò ricordo di molte cose pertinenti alla corte imperiale, ai generali e agli uomini di stato coi quali fu in relazione. Dai diplomatici modenesi e dagli storici italiani contemporanei, troppo poco consultati dai nostri insino ad ora, e meno poi dagli stranieri, trarremo materiali per estenderci alquanto sulla Guerra dei trent’anni, più parcamente procedendo poscia pe’ tempi men di questo memorabili.
Nè mancano all’archivio estense altri documenti che dicono di Raimondo e della sua famiglia. Da questi, non che da opere a stampa, trasse sunti un medico Francesco Gregori di Spilamberto, che incominciò anche a stendere una storia de’ primi anni di Raimondo; la quale, lasciata da lui incompleta, fu letta come lavoro suo da G. B. Venturi, scienziato e letterato di buon nome, all’istituto di Milano. Dagli eredi del Venturi, acquisitore dei documenti raccolti dal Gregori, furono questi venduti al duca Francesco IV, e di una parte di essi, nel sunto che presso di sè ritenne il Gregori, si adorna la doviziosa collezione di manoscritti del conte Giorgio Ferrari-Moreni di Modena, dalla gentilezza del quale ebbi facoltà di esaminarli.1 Una copiosa serie di documenti dell’archivio estense verte sull’unica guerra alla quale prese parte in Italia il generale Raimondo, a quella cioè che si dice di Nonantola, e che è un episodio di quella di Castro: e non so poi se l’aver io in questa storia fatto largamente mio pro di quegli speciali documenti non mi verrà apposto a colpa: ma al lettore italiano non dovrebbe tornare discaro (cred’io) il vedere più da vicino, per così esprimermi, e tra i connazionali suoi, un eroe che sopra più vasti campi di gloria doveva acquistar fama europea; nè spiacerà forse il vedere ne’ suoi particolari, in quelli ancora di minor momento, descritta una delle guerre italiane del secolo XVII.
Non mi venner veduti gli archivi della famiglia Montecuccoli; una nota nondimeno dei documenti più rilevanti che si serbano in uno di essi, mi darà agio di rettificar qualche fatto o di produrne de’ nuovi. Pubbliche azioni di grazie debbo poi all’illustre e compianto marchese Gino Capponi, che il famoso suo archivio generosamente mi dischiuse in Firenze a ricercarvi notizie; e ne debbo al cavalier Cesare Guasti, e al conte Luigi Passerini de’ Rilli, dai quali ebbi cognizione della corrispondenza inedita di Raimondo Montecuccoli col principe Mattia de’ Medici, che si serba in parte nella biblioteca nazionale e in numero di ben 218 lettere nell’archivio mediceo in Firenze, da que’ due egregi uomini governati. I quali, per l’amore che portano agli studi storici, vollero prendersi cura di farmi trascrivere per intero que’ documenti, de’ quali avrò a fare largo uso. Necessario complemento alla storia del gran capitano avvisai dovesse tornare il far ricordo de’ parenti di lui, de’ genitori suoi singolarmente, e di quelli tra i Montecuccoli che furono al suo tempo in Germania, e più che d’altri del generale Ernesto, che cogli insegnamenti e coll’esempio delle gloriose sue fatiche lo iniziò all’arte militare: degno pertanto che il suo nome sia vendicato da ingiuste obblivioni.
Perchè poi insino all’epoca in che venne a morte il duca di Modena Francesco I d’Este (l’anno 1658), molta parte ebbe a prendere il Montecuccoli coll’opera e col consiglio agli avvenimenti della sua patria, ci occorrerà fare di questi qualche speciale ricordo, mentre appena toccheremo di essi ne’ tempi successivi. Questo il disegno dell’opera nostra, che intende a porre in maggior luce quanto si riferisce alla vita e alle imprese di uno de’ più illustri guerrieri nati in Italia. E se al tempo, non lontano, in cui ricorrerà il secondo centenario della morte di lui, che fu nel 1680, avvenga che o qui o in Germania, seguendo una lodevole costumanza introdottasi, si decretino speciali onoranze a commemorazione delle gloriose sue geste, non tornerà indarno che di esse, comecchè con arte manchevole, siasi fin d’ora ravvivata la ricordanza.
- ↑ Lo zelo infaticabile del Gregori nel tener nota di ciò che pertiene alla storia dei Montecuccoli, sembra trasfuso nel suo conterraneo, il signor Carlo Fabriani. A lui vado debitore di molte notizie risguardanti quella famiglia e le montagne ov’ebbero lor feudi.