Ragguagli di Parnaso (Laterza, 1948)/Centuria prima/A chi legge

A chi legge

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A CHI LEGGE

Co’ gnatoni sempre famelici, i quali, benigno lettore, allora che fino alla gola hanno pieno il ventre, e che però grandemente essendo satolli delle vivande condite anco con le piú esquisite delicatezze, per dar nuovi gusti al palato, fino si sono chimerati i zuccheri bruschi; molto acconciamente possono esser assimigliati i curiosi virtuosi, voracissimi parasiti de’ libri e insaziabili pacchioni di tutte le piú saporite scienze: i quali, allora, che fino all’ultima sazietá hanno crapulato i seri studi di Aristotile, d’Ippocrate, di Livio, di Virgilio, di Euclide e di altri pregiatissimi autori, anche le ore della ricreazione che si concedono al riposo del corpo, al ristoro dell’animo, non potendo soffrire che passino senza molta utilitá, la stessa lezione di qualche piacevole composizione vogliono che tutta sia studio fruttuoso. Onde per dar sempre delicato pasto ai voraci ingegni loro, fino hanno desiderato i zuccheri bruschi di veder nelle altrui nuove e capricciose composizioni meschiato il serio col piacevole: negozio che a’ virtuosi così sempre è riuscito difficile, come agli alchimisti il fissare il mercurio: e il desiderio intenso che gli ambiziosi scrittori hanno di far acquisto della pubblica lode, non punto essendo inferiore all’ingorda avarizia degli alchimisti, ha cagionato che infiniti di essi piú che molto hanno chimerato e sudato per talmente congelare l’instabil mercurio di unir l’utile col dolce, ch’egli stia saldo alla botta del martello di un sodo giudicio che sia inimico della falsa alchimia delle scurrilitá. Nel numero di questi, stimolato dall’ardente sete di quella gloria della quale gl’ingegni migliori degli uomini sono [p. 6 modifica] idropici, mi trovo ancor io: il quale in somigliante sofistica alchimia ho soffiato piú anni, e con qual felicitá sta posto nel giudicio che ne farai tu. Questo grandemente mi consola, che se in quest’arte chimica averò gettate le bocce e ’l carbone e cosi consumato l’olio e l’opera, spero nondimeno che appresso di te non solo mi scuserá la difficultá dell’impresa e l’impossibilitá del negozio, ma che tu nel mal successo della cosa loderai quella mia buona intenzione che ho avuta, di giovarti e dilettarti: per la quale tanto ho vegliato e sudato, che in essa piú ho deteriorato la mia salute, che consumato carta e inchiostro. Né a me può apportar biasimo che l’infelice fine che in questa alchimia hanno fatta molti altri letterati, non mi abbia potuto spaventare dall’intraprender negozio di così certo pericolo; perché nelle virtuose imprese, che in estremo sono difficili o che all’ardir degli uomini sono impossibili, anzi lode d’animo generoso che biasimo di temeritá altrui acquista il solo aver avuto cuore di tentarle. E nella lotta che altri facesse con Ercole, assai onorata gloria riportarebbe, se, nel primo assalto non lasciandosi gettare a terra, facesse qualche ancorché debole contrasto. Di questo son sicuro, che se io, come quasi parali di esserne certo, con questi miei Ragguagli di Parnaso non averò, come estremamente mi sono affaticato di fare, conseguito l’intento mio di in un tempo medesimo dilettarti e giovarti, a’ bell’ingegni nondimeno che verranno forse averò agevolata la strada di darti un giorno con le loro nuove e curiose invenzioni quell’util gusto, quella virtuosa dilettazione, che sommamente avendo desiderato, non ho saputo né potuto conseguir io. Né questo spero indarno; perché l’obbligo della presente tanto facil navigazione alle ricche Indie non tanto abbiamo al primo fortunatissimo scopritor di esse Cristofano Colombo, quanto ad Americo Vespucci, a Ferrante Magaglianes e a quei moderni piloti che con le coraggiose navigazioni loro le hanno data compita perfezione. E l’incomparabil beneficio della stampa, invenzione di così gran meraviglia, non tanto riconosciamo da quell’immortal cavaliere Giovanni Magontino, primo ritrovatore di essa, quanto da quelli che con l’industria [p. 7 modifica] delle ben impiegate fatiche loro, di rozza che nel suo primo principio ella era, l’hanno ridotta a quella isquisita perfezione che ora vediamo e godiamo: essendo verissimo il detto del magno Tacito, che sempre ha ricco raccolto di lodi colui che semina fatiche virtuose: mercé che largamente con liberalissima mano «suum cuique decus posteritas rependit»1.


Note

  1. Tacito, libro IV degli Annali.