Questioni urgenti (d'Azeglio)/9
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IX.
Della guerra bandita con tanta pompa per primavera, poco più si parla ormai; chè v’è pure, la Dio grazia, un argine alle pazzie nel senso comune degl’Italiani. Ma pure questo grido di guerra ebbe influenza sulla politica, sugli affari, sul commercio, sui fondi; cagionò danni ed intralci gratuiti. Ora domandiamo: con qual diritto, in virtù di qual legge fu usurpata un’autorità che dallo Statuto è devoluta al Re solo?
Se il Re facesse altrettanto, e violasse lo Statuto, che cosa direbbero i banditori della guerra al 1mo Marzo?
Io non conosco grado, non conosco gloria nè illustrazione per quanto splendida, che metta uomo del mondo al di sopra delle leggi.
Più è grande, più è illustre un uomo, e più deve dar l’esempio d’ubbidire alle leggi, tanto più in tempi come i nostri.
Quando si tratta di combattere e vincere la gran battaglia dell’indipendenza contro nemici interni ed esterni; quando interessi vulnerati, posizioni compromesse, contrastano con ambizioni nuove, con appetiti insaziati; quando serpeggiano inquietudini, ire, rancori; quando il seguire le regole ordinarie diventa difficile, e spesso pare impossibile a governati come a governanti, allora è più che mai importante lo stringersi tutti all’altare della legalità; allora è il momento di proclamare la supremazia della legge, d’elevarne in alto il Palladio, come s’alza uno stendardo quando è più ardente il calore d’una zuffa, onde non si disperda o si disordini l’esercito. Allora è il momento di imporre silenzio alle gelosie, alle invidie, alle vanità, e chi è grande per fatti illustri, dev’esser grande altrettanto per carattere, dev’essere il primo a piegare la fronte e mostrarsi gran cittadino come si mostrò gran soldato.
Non bisogna scordarsi in qual tempo viviamo.
In oggi certe violazioni di diritto, da chiunque vengano, se non hanno punizione immediata, l’hanno immancabile.
Hanno la maggior di tutte: — l’abbandono dell’opinion pubblica! Perchè cadde Francesco II, giovane che doveva pur avere in sè nobili istinti, a vedere la sua difesa: e cadde senza ottenere alcun segno di sollecitudine se non un umiliante compianto?
Per questo abbandono. —
Perchè cade il dominio temporale dei Papi?
Per questo abbandono. —
E perchè divennero impossibili a Napoli Garibaldi e i suoi seguaci? ed il suo partito?
Per questo abbandono. —
La poesia dello sbarco a Marsala, e della conquista dell’Isola, che riconduceva le immaginazioni ai figli di Tancredi d’Hauteville ed a Roberto Guiscardo, elettrizzava l’Europa: mai simil fascino aveva, e con ragione, esaltate tanto le menti.
La più volgare temperanza, le più comuni nozioni del senso moderno avrebbero mantenuto il favore dell’opinione a quel partito. Ma senza parlare de’ disordini, degli arbitrii, degli sperperi, ed altri fatti di simile calibro, comparve il decreto che accordava una ricompensa detta nazionale alla memoria di Agesilao Milano: l’opinion pubblica pubblica si arrestò, e richiese: Chi sono costoro che premiano l’assassinio? Sono un governo d’otto milioni d’uomini!
Ma il mondo civile non rigetta egli oramai da’ suoi codici la pena di morte, applicata per delitto politico? E quello che la coscienza pubblica tolse ai tribunali, si vuol dare a Napoli all’arbitrio dell’individuo? Non bastava la medaglia coniata per l’assassinio, vogliono ora aggiungervi l’onta di un decreto governativo che renda la complicità generale? Dunque la loro fede è quella d’Orsini? E sono Italiani costoro? Ma se l’Orsini riusciva, che ne sarebbe dell’Italia ora? L’opinione s’avvide che bisognava esaminare più da vicino chi era a Napoli, e che cosa vi si faceva.
Comparvero sui giornali i famosi telegrammi che ordinavano di far fuoco contro la bandiera nazionale; si pubblicarono le famose concessioni di strade ferrate; si seppero le prove tentate per ottenere la proroga d’un anno ad un potere sotto il quale le Strade ferrate potevano prendere così felici sviluppi.
Il mondo civile vide chiaro alla fine, e qual fu la sua sentenza?
Le elezioni lo mostrarono: — l’abbandono!