Questioni urgenti (d'Azeglio)/18
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XVIII.
Non solo c’è il Papa; ma c’è un Corpo d’armata francese, unicamente incaricato di mantenervelo.
Tutti conoscono la catena de’ fatti che ha condotte le cose di Roma a questo punto, e sarebbe superfluo in questo momento volerne fare il processo. Credo però che da tutti gli antecedenti risulti evidente che l’Imperatore Napoleone non può oramai nè protrarre indefinitamente l’occupazione di Roma, nè terminarla senza lasciare al Papa una posizione definita, conveniente e sicura.
La maggior difficoltà in questa questione sta nella differenza di vedute che necessariamente divide l’Italia dal resto de’ paesi cattolici e dell’Europa.
In Italia sempre è stato poco ossequiato il potere papale. Gl’Italiani l’hanno sempre avuto a portata e sottocchio, e l’hanno sempre stimato quel che valeva.
Questi sentimenti più o meno potenti e diffusi, a seconda de’ casi e de’ tempi, si svilupparono più che mai dal principio del secolo, e scomparsi un momento sotto la generale illusione che i principii di Pio IX avevano generata, ripresero con violenza maggiore nell’ultimo decennio.
Ma da due anni in qua, non bisogna farsi illusione, tali sentimenti hanno vestito tutt’insieme un carattere d’avversione, o d’indifferenza almeno al cattolicismo, che prima d’ora o non avevano, od avevano a un grado molto minore.
Nessun uomo sensato, qualunque sieno le sue opinioni circa il soprannaturale, può considerare come indifferente l’indebolimento del senso religioso di un popolo.
In Italia questo sentimento non può connettersi che col cattolicismo. Non siamo più ai tempi ne’ quali si mutava sinceramente la fede dell’infanzia. E cadendo il sentimento cattolico, nulla può sottentrare al suo luogo.
Il sentimento cattolico essendosi indebolito per non dir peggio, ne viene dunque per necessaria conseguenza che il senso religioso e morale si sono egualmente indeboliti da due anni in qua in Italia; e di questo triste fatto ricade tutta la responsabilità sulla Corte di Roma.
Ciò era da prevedersi.
Nell’ultima lotta del 1859 Roma stette coll’Austria. Essa era col cuore e collo spirito nel campo de’ nostri nemici, e se dipendeva da lei, a quest’ora il calcagno dell’Imperator Francesco calcherebbe di nuovo il collo d’Italia. Roma non nascose le sue ansie nè le sue ardenti speranze prima di Solferino; nè dopo serbò nessun pudore nella sua desolazione. Roma nel suo naufragio, retta sull’acque dalla potenza della Francia, morse la mano che l’impediva d’affondare. Roma aprì mercato di vite per formarsi un esercito composto come le antiche compagnie di ventura, nè s’arretrò alla vista delle stragi e del sangue. Roma ricusa ostinata consigli amichevoli e prudenti, ricusa riforme, ricusa patti, sembra in verità che la vista del potere che le sfugge la renda demente. Ciò che in un altro Governo sarebbe plausibile, è inesplicabile in lei! Non si comprende difatti per qual motivo essa non ripeta una volta di più, ciò che pose in opera già tante volte: non ceda per guadagnar tempo, e non prometta, salvo a mancare poi di parola! Cosa strana! Non dubitò mai d’ingannare, quando la sincerità poteva salvarla. Oggi che può salvarla, per poco almeno, l’inganno, neppur più sa adoprarlo.
Come poteva il senso cattolico non indebolirsi a fronte di simili atti? A questo deplorabile effetto ha contribuito potentemente altresì la posizione presa dall’Episcopato all’estero ed in Francia principalmente.
Gl’Italiani hanno dovuto a loro spese imparare a discernere gl’intimi motivi di chi s’impaccia de’ loro affari; e difficilmente s’ingannano. Come supporre che accettino quale espressione di zelo apostolico, di carità evangelica la parola adirata, amara, stillante fiele e bile de’ Mandements? N. S. G. Cristo disse mai tali e tante ingiurie ai peccatori, le sue collere furon grandi, è vero, contro chi teneva mercato nel tempio, e contro gli ipocriti, che chiamò progenie di vipere. Ma che hanno che far con costoro i poveri Italiani che son lungi dal volersi far passare per santi e cercano di porre un termine al mercato del tempio! E poichè ce lo strappano di bocca, non farebbero meglio, sia l’Episcopato, sia la Corte di Roma a far l’esame di coscienza e considerare se a loro non si applicassero con maggior ragione le sante ire del Redentore?
Come porre d’accordo il Papato del 60 col Papato del 48, che aveva proclamato al mondo non potere il Pontefice padre comune di tutti i cristiani, muover guerra a nessuno?
Come conciliare coi Zouaves pontificii il precetto che impose al pastore di dare il sangue per le sue pecorelle?
A fronte di questi fatti i cattolici più convinti dovettero ricordarsi del segno distintivo de’ buoni e de’ falsi Profeti lasciato dal Redentore ai secoli avvenire, onde preservarli da seduzione ed inganni «a fructibus eorum cognoscetis eos,» poichè non può la mala pianta dar buon frutto, e viceversa!