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Quando nel leggere il famoso programma trovai per ultima fatica l’incoronazione in Campidoglio, ed il Quirinale fatto sede del Governo, confesso che questa conclusione mi cagionò qualche meraviglia.

Avevo creduto esaudito da un pezzo il celebre voto: Qui nous délivrera des Grecs et des Romains? ed era naturale che non m’aspettassi veder scaturire dal seno del mondo pratico e prosaico de’ tempi nostri, quest’idea che ci riporta alle idee de’ nostri studi di classica latinità.

Riflettendoci poi, m’è sembrato capirne l’origine, e la meraviglia diminuita di molto.

Prima d’aggiungere una parola su questa questione, non posso astenermi di dichiarare ch’io v’entro malvolentieri. Ho passato a Roma i più belli anni della mia vita, ne ho serbato le più care e le più vive memorie, [p. 41 modifica]ed ancora al momento presente vi conservo molti amici ai quali mi stringe stima ed affetto sincero. Conosco che dovrò dir cose contrarie ai loro desiderii ed al loro sentire, e per un pezzo sono stato in due s’io dovessi parlare, o tacere. Ma, tacendo, devierei per la prima volta dalla linea che ho sempre seguita. Parlerò dunque; e qualunque amarezza mi si prepari, mi conforterò col pensiero d’avere obbedito alla voce del dovere. Tale considero il non ritirarsi dalla discussione degli affari del proprio paese, ed il cooperare fino all’ultimo al loro buon andamento, senza lasciarsi adescare da quel pericoloso fantasma della popolarità, che ha fatto andare a traverso tante idee buone ed accettarne tante storte o dannose.

L’astenersi in ogni caso m’è sempre sembrato atto sospetto o di doppiezza, o di timidità.

Torno al mio proposito. Finchè la sede del Governo è Torino, finchè il Parlamento è in mezzo alla popolazione piemontese, il potere esecutivo sarà sempre libero d’esercitare quell’azione legale che gli attribuisce lo Statuto, tanto sulle amministrazioni, come nelle sue relazioni coi poteri legislativi. Le crisi ministerali nel genere di quelle di Rossi, a Torino sono impossibili. Se sotto il loggiato del palazzo Carignano un ministro cadesse colla jugulare recisa, i deputati si precipiterebbero dalle Camere, i cittadini dalla piazza, e gli autori d’un simil fatto non avrebbero agio di passar la notte festeggiando ed insultando alla famiglia della vittima, come fecero a Roma.

È ancora un mistero quale sia stato il partito che ordinò la morte dell’illustre ministro: fu attribuito egualmente alla Curia Romana come alla Curia dell’Idea. Non vi sono prove certe, ed è dunque impossibile il sentenziare.

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Ma v’è an partito che accettò pubblicamente la solidarietà d’Agesilao Milano, e degli accoltellatori del 6 Febbraio. Rimetto all’equità del lettore il decidere se sia temerario supporre che questo partito dal quale uscì il primo grido della Capitale a Roma, nel voler trasportarvi ora il Parlamento da Torino abbia in vista non dirò la ripetizione di simili atti (che mi ripugnerebbe pensarlo), ma il procurare almeno alle sue elucubrazioni politiche e parlamentarie un teatro un po’ meno vegliato e difeso dell’attuale.

Non bisogna perder di vista che per gli individui come pei governi esistono gli ambienti sani, come gli ambienti malsani. Esistono le arie che danno forza ed energia, come quelle che inducono ignavia e fiacchezza. L’ambiente di Roma impregnato de’ miasmi di 2,500 anni di violenze materiali o di pressioni morali esercitate dai suoi successivi governi sul mondo, prima, dalle votazioni de’ comizii del popolo, poi dalle pazze tirannidi degl’Imperatori e de’ loro liberti, e finalmente dalle ipocrisie della Curia Papale, non pare il più atto ad infonder salute e vita nel Governo d’un’Italia giovane, nuova, fondata sul diritto comune; diritto del quale il Campidoglio, il Palatino, come il Vaticano furono con modi diversi la costante negazione.