Questa, che 'l buon Vulcano
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LV
PER COSMO MEDICI
GRAN DUCA DI TOSCANA
Allora infermo
Questa, che ’l buon Vulcano
Coppa temprommi alle fornaci accese,
Qual fia la man cortese,
Che me la colmi di gran vino Ispano?
5O dell’alma virtute,
Onde rinfranca i cor Tosca Verdea,
Chi me la colmerà? perché oggi io bea
Alla cara salute
Di Cosmo nostro Re?
10Ma s’ei col piè leggiero
Scorgerà danze all’amorose sere,
O se fugaci fere
Atterrerà su corridor destriero,
Io fra’ suoni e fra’ canti
15Di bel Trebbian, che altrui la lingua allaccia,
O di manna, che stilla aurea Vernaccia,
O di nettâr di Chianti
Votar ne vo’ ben tre.
Quando di grembo a Teti
20Sorge a’ mortali un desïato giorno,
Volgere il piede intorno
Con le liete baccanti alcun non vieti;
Quando fia, quando? quando
Ch’esca quel Sole, ed apparisca al fine?
25Io vo’ gir di Corimbi ornato il crine
Tornando e ritornando
Buon Bacco Evoè.
S’oltra ogni umana costume
Valse virtù di sconosciuta fronde
30Sì, che nel sen dell’onde
Glauco si trasformasse in nuovo Nume;
Non fia su queste rive
Erba possente a ricrear le membra
Di lui che sul terren Dio ne rassembra,
35Se giustizia prescrive,
O dispensa mercè?
Non cessi in bella prova
Anima saggia, ad onorarsi avvezza;
Ma, se altri gloria sprezza,
40Covi le piume, ed a ben far non mova.
Certo il novel Chirone
Fregi di stelle in ciel non spera indarno;
E di cetre Febee lungo il bell’Arno
Avrà nobil corone,
45Premio della sua fè.
Ma tu dal monte ombroso,
Ove con dolce suon misuri i passi,
Perch’ei le ciglia abbassi,
Ritrova, o Clio, di Pasitèa lo sposo;
50E dalle porte eburne,
Onde governa a sue voler le chiavi,
De’ sogni tranquillissimi soavi
Le turbe taciturne
Tragga con esso sè.
55E quinci ei rappresenti
Giocondo mormorío d’aure volanti
Augel che dolce canti,
E per fiorita riva acque correnti,
Cervi ratti e leggieri
60Via dileguar con le ramose fronti,
E su quell’orme cacciator ben pronti,
E rapidi levrieri
Non perdonare al piè.
Poi, se nell’alto chiostro
65Febo sferza di rai l’accese rote,
Muse, con nuove note
Rinnovate diletto al Signor nostro;
Ma non battaglie ed armi
Cantate, o sangue sparso in sull’arene:
70A far nel petto altrui l’alme serene,
Apollo a’ vostri carmi
D’amor materia diè.
Dite l’alte querele,
Che sopra Etna spargea l’arso gigante,
75Quando dolente amante
Chiamò l’amata Galatea crudele;
Ben con lunghi sospiri
Ei facea risonar piagge e caverne,
Ma della Ninfa l’alterezze eterne
80A’ suoi tanti martíri
Piegar mai non potè.
Tra belle ciglia e chiare
Anima, egli dicea, non mai tranquilla,
Dimmi Cariddi e Scilla
85Non sono assai per dare infamia al mare?
Perchè piena d’orgoglio
Fulmina tua beltà sempre sdegnosa?
Pur dello scempio altrui, pur se bramosa
Sei dell’altrui cordoglio,
90Rivolgi gli occhi in me.
O che nel mar si bagni,
O che dall’oceán Febo risorga,
Altro non è ch’ei scorga
Fuor ch’immensi tormenti a me compagni:
95Sempre nel sen raccolgo
Geloso ghiaccio, onde il mio cor vien manco;
Moro in mesto silenzio, e se dal fianco
Unqua lo spirto sciolgo,
Sempre rimbomba, oimè.
100Deh, come in te s’estinse
Ogni pietà del mio martìre estremo,
Più dicea Polifemo,
Ma non poteo, cotanta pena il vinse:
Come poscia spietato
105Il puro sangue del rival diffuse,
Chiudete in petto; e nol ridite, o Muse:
Altrui grave peccato
Da raccontar non è.