Quando il soave mio fido conforto (Lucas)
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Per dar riposo a la mia vita stanca,
Ponsi del letto in su la sponda manca
Con quel suo dolce ragionare accorto;
5Tutto di pietà e di paura smorto,
Dico: ‘ Onde vien’ tu ora, o felice alma? ’
Un ramoscel di palma
Et un di lauro trae del suo bel seno,
E dice: ‘ Dal sereno
10Ciel empireo e di quelle sante parti
Mi mossi, e vengo sol per consolarti.’
In atto et in parole la ringrazio
Umilemente, e poi domando: ‘ Or donde
Sai tu il mio stato? ’ Et ella: ‘ Le triste onde
15Del pianto, di che mai tu non se’ sazio,
Co l’aura de’ sospir, per tanto spazio
Passano al cielo e turban la mia pace.
Sì forte ti dispiace
Che di questa miseria sia partita
20E giunta a miglior vita?
Chè piacer ti devria, se tu m’amasti
Quanto in sembianti e ne’ tuoi dir mostrasti.’
Rispondo: ‘ Io non piango altro che me stesso,
Che son rimaso in tenebre e ’n martire,
25Certo sempre del tuo al ciel salire,
Come di cosa ch’uom vede da presso.
Come Dio e Natura avrebben messo
In un cor giovenil tanta vertute,
Se l’eterna salute
30Non fosse destinata al suo ben fare?
Oh de l’anime rare
Ch’altamente vivesti qui fra noi
E che subito al ciel volasti poi!
Ma io che debbo altro che pianger sempre,
35Misero e sol, che senza te son nulla?
Ch’or foss’io spento al latte et a la culla,
Per non provar de l’amorose tempre! ’
Et ella: ‘ A che pur piangi e ti distempre?
Quanto era meglio alzar da terra l’ali,
40E le cose mortali
E queste dolci tue fallaci ciance
Librar con giusta lance,
E seguir me, s’è ver che tanto m’ami,
Cogliendo omai qualcun di questi rami! ’
45‘ I’ volea dimandar — rispond’io allora —
Che voglion importar quelle due frondi.’
Et ella: ‘ Tu medesmo ti rispondi,
Tu la cui penna tanto l’una onora.
Palma è vittoria; et io, giovane ancora,
50Vinsi il mondo e me stessa: il lauro segna
Trïonfo, ond’io son degna,
Mercè di quel Signor che mi diè forza.
Or tu, s’altri ti sforza,
A lui ti volgi, a lui chiedi soccorso;
55Sì che siam seco al fine del tuo corso.’
‘ Son questi i capei biondi e l’aureo nodo,
Dich’io, ch’ancor mi stringe, e quei belli occhi
Che fûr mio sol? ’ ‘ Non errar con li sciocchi,
Nè parlar — dice — o creder a lor modo.
60Spirito ignudo sono, e ’n ciel mi godo:
Quel che tu cerchi, è terra già molt’anni:
Ma per trarti d’affanni
M’è dato a parer tale. Et ancor quella
Sarò, più che mai bella,
65A te più cara, sì selvaggia e pia,
Salvando insieme tua salute e mia.’
I’ piango; et ella il volto
Co’ le sue man m’asciuga; e poi sospira
Dolcemente, e s’adira
70Con parole che i sassi romper pònno:
E, dopo questo, si parte ella e ’l sonno.