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FRANCESCO PETRARCA
Se l’eterna salute
30Non fosse destinata al suo ben fare?
Oh de l’anime rare
Ch’altamente vivesti qui fra noi
E che subito al ciel volasti poi!
Ma io che debbo altro che pianger sempre,
35Misero e sol, che senza te son nulla?
Ch’or foss’io spento al latte et a la culla,
Per non provar de l’amorose tempre! ’
Et ella: ‘ A che pur piangi e ti distempre?
Quanto era meglio alzar da terra l’ali,
40E le cose mortali
E queste dolci tue fallaci ciance
Librar con giusta lance,
E seguir me, s’è ver che tanto m’ami,
Cogliendo omai qualcun di questi rami! ’
45‘ I’ volea dimandar — rispond’io allora —
Che voglion importar quelle due frondi.’
Et ella: ‘ Tu medesmo ti rispondi,
Tu la cui penna tanto l’una onora.
Palma è vittoria; et io, giovane ancora,
50Vinsi il mondo e me stessa: il lauro segna
Trïonfo, ond’io son degna,
Mercè di quel Signor che mi diè forza.
Or tu, s’altri ti sforza,
A lui ti volgi, a lui chiedi soccorso;
55Sì che siam seco al fine del tuo corso.’
‘ Son questi i capei biondi e l’aureo nodo,
Dich’io, ch’ancor mi stringe, e quei belli occhi
Che fûr mio sol? ’ ‘ Non errar con li sciocchi,
Nè parlar — dice — o creder a lor modo.
60Spirito ignudo sono, e ’n ciel mi godo:
Quel che tu cerchi, è terra già molt’anni:
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