Protesta del popolo delle Due Sicilie/Capo XI

Capo XI

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Capo X Conchiusione

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CAPO UNDECIMO


I SOLDATI.


Re Ferdinando confida nei suoi soldati, ma non li sa educare, onde nè lo temono nè l’amano; per averli fedeli li fa ignoranti: li veste or d’un modo, ora d’un altro e finalmente sdegnando ogni divisa nazionale li ha vestiti alla francese. Quando ci capita qualche principe forestiero egli subito squaderna innanzi le sue milizie, e fa una gran mostra con fanciullesca compiacenza, che ei si crede un gran capitano e se la tiene. E però or li conduce ad un finto assedio, or in colonna mobile, or di qua or di là ei si spassa, la nazione paga queste spese straordinarie: i soldati devastano ogni cosa e consumano le scarse provvigioni dei paeselli, i quali restano ammiseriti. I suoi generali sono vecchi soldati, che non potettero sperar di militare sotto il governo francese, e furono accetti o per fedele ignoranza, o per delitti commessi come capi di briganti. Gli uffiziali generalmente fanno come il Re, rubano ed opprimono i soldati, braveggiano, bevono, e contan vittorie donnesche. Questi sono educati in un collegio, dove la più parte dei maestri son preti1, e dove tra gli esercizii militari imparano ad attillarsi, passeggiar per le vie più frequentate, e guardar le donne. I soldati debbono servir per cinque anni: in altri cinque possono esser richiamati. A quattro reggimenti di Svizzeri si dà paga doppia, migliore e più largo cibo dei nostri. Prima i cambi si facevano da particolari, secondo ciascuno [p. 59 modifica]poteva: o pure molti degl’imborsati davano una piccola somma ad una società di negozianti, la quale faceva tanti cambi quanti erano i suoi imborsati usciti in sorte. Ora il Re vuole per cambi i soldati che han finito il loro tempo: esige per ciascun cambio centottanta ducati, dei quali ottanta dà al soldato, e cento li ritiene per se.

Con grandissima cura si conducono ogni anno i militari nella chiesa del Gesù a fare gli esercizi spirituali; ed ivi, proibita l’entrata ad ogni altra persona, un gesuita discorre di unico argomento della fedeltà che i soldati devono al Re che li paga, della santità del giuramento militare. E con tanta cura si cerca per tutte le vie di fermarli in questa opinione che anche i militari non sciocchi si crederebbero disonorati se mancassero al giuramento fatto al Re. O militari italiani delle due Sicilie, prima di esser militari non eravate e non siete cittadini anche adesso? Voi avete giurato di essere fedele al Re, cioè al padre, al sostegno, al difensore della nazione: avete giurata fedeltà alla nazione rappresentata dal Re. Or se questo Re non è più il padre ma il carnefice, non il difensore ma il nemico, non il sostegno ma l’oppressore della nazione, voi siete obbligati dal vostro giuramento stesso a perseguitare chi non più rappresenta ma uccide la patria. Nè si dica che non v’ha più patria. La patria è eterna: essa può languire, non morire; può essere oppressa non spenta. Essa vi ha nutriti, vi ha educati, essa, cioè i vostri padri, i vostri parenti, i vostri amici, si cavano il sangue delle vene per darvi quel soldo che il comune tiranno dice di darvi. Voi dunque se siete uomini di onore anzi che esser sicari di un carnefice, dovete unirvi ai cittadini vostri fratelli, dovete porger loro la mano per aiutarli nel riscatto della patria, dovete mostrare che siete italiani e generosi, dovete far comprendere ad un Re stolto che guai a chi confida nella forza ed opprime i popoli profanando il nome di Dio.

Note

  1. Per ordine del Re tutti i maestri del collegio di Marina son preti.