Prose della volgar lingua/Libro terzo/XLV

Terzo libro – capitolo XLV

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Parlasi condizionalmente eziandio in un’altra guisa, la quale è questa: Io voglio che tu ti pieghi, Tu cerchi che io mi doglia, Ella non teme che ’l marito la colga, Coloro stimano che noi non gli udiamo e simili. Nella qual guisa questa regola dar vi posso: che tutte le voci del numero del meno sono quelle medesime in ciascuna maniera, Io ami Tu ami Colui ami, Io mi doglia Tu ti doglia Colui si doglia, Io legga, Io oda, e cosí le seguenti. E quest’altra ancora: che tutti i verbi della prima maniera queste tre voci nelle prose cosí terminano, come s’è detto, nella I, ma nel verso e nella I e nella E elle escono e finiscono parimente. Quelle poi delle altre tre maniere ad un modo tutte escono nella A, Io voglia Tu legga Quegli oda, e il medesimo appresso fanno le rimanenti a queste. Solo il verbo Sofferire esce di questa regola che ha Sofferi. Doglia e Toglia e Scioglia, Dolga e Tolga e Sciolga si son dette parimente da’ poeti, e le altre loro voci di questa guisa, Tolgano Dolgano e simili. Né è rimaso che alcuna di queste non si sia alle volte detta nelle prose, nelle quali non solo ne’ verbi s’è ciò fatto, ma eziandio in alcun nome, sí come di Pugna, che è la battaglia, la quale s’è detta Punga molte volte; perché meno è da maravigliarsi che Dante la ponesse nel verso. - Cosí avea detto il Magnifico, e tacevasi quasi come a che che sia pensando, e in tal guisa per buono spazio era stato, quando mio fratello cosí disse: - Egli sicuramente pare che cosí debba essere, Giuliano, come voi detto avete, a chi questo modo di ragionare dirittamente considera. Ma e’ si vede che i buoni scrittori non hanno cotesta regola seguitata. Perciò che non solo negli altri poeti, ma ancora nel Petrarca medesimo, si leggono altramente dette queste voci:

O poverella mia, come se’ rozza;
credo che tel conoschi,

dove Conoschi disse e non Conosca; e ancora,

Pria che rendi
suo dritto al mar,

dove Rendi, in vece di Renda, medesimamente e’ disse; e ciò fece egli, se io non sono errato, eziandio in altri luoghi. Il Boccaccio appresso molto spesso fa il somigliante: E tu non par che mi riconoschi e Guardando bene che tu veduto non sii e Acciò che tu di questa infermità non muoi e, ne’ versi medesimi suoi,

Deh io ti prego, Signor, che tu vogli,

e in molte altre parti delle sue scritture, per le quali egli si pare, che cotesta regola non abbia in ciò luogo -. E cosí detto si tacque. Laonde il Magnifico appresso cosí rispose: - Egli si pare, e cosí nel vero è, messer Carlo, che in quella parte, della quale detto avete, la regola, che io vi recai, non tenga. E a questo medesimo pensava io testé, e volea dirvi, che solo nella seconda voce del numero del meno, della quale sono gli essempi tutti che voi raccolti ci avete, altramente si vede che s’è usato per gli scrittori, perciò che non solo nella A, ma ancora nella I essi la fanno parimente uscire, come avete detto. Né io in ciò saprei accusare, chi a qualunque s’è l’uno di questi due modi nello scrivere la usasse; ma bene loderei piú, chiunque sotto la detta regola piú tosto si rimanesse -.