Prose della volgar lingua/Libro terzo/XLVI

Terzo libro – capitolo XLVI

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Di tanto parve che sodisfatto si tenesse mio fratello. Perché il Magnifico seguitò: - È appresso la prima voce del numero del piú di tutti i verbi quella medesima, della quale da prima dicemmo, Amiamo Vogliamo e l’altre. Sarebbe altresí la seconda voce quella medesima con la seconda della prima guisa che noi dicemmo, se non fosse che vi si giugne la I nel mezzo, e dicesi Amiate ne’ verbi della prima maniera, e in quegli della quarta si giugne la A similmente, Udiate. Quelle appresso dell’altre due maniere, dalla terza loro voce del numero del meno formar si possono, giugnendo loro questa sillaba TE: Voglia Vogliate, Toglia Togliate; dico in que’ verbi, ne’ quali la I da sé vi sta, come sta in questi. Che dove ella non vi sta, conviene che ella vi si porti, perciò che è lettera necessariamente richiesta a questa voce, Legga Leggiate, Segga Seggiate; come che Sediate e Sediamo piú siano in uso della lingua, voci nel vero piú graziose e piú soavi. La terza ultimamente di questo numero, dalla medesima terza del numero del meno trarre si può, questa sillaba NO in tutte le maniere de’ verbi giugnendovi. Le quali amendue terze voci a coloro servir possono, a quali giova che, alla guisa delle voci che comandano, si diano eziandio le terze voci che dianzi vi dissi. E perciò che in questi due verbi Stia e Dia, Stea e Dea s’è detto quasi per lo continuo dagli antichi, Stiano e Diano medesimamente Steano e Deano per loro si disse; come che Dei eziandio, oltre a queste, nella seconda del numero del meno, in vece di Dia o pure Dii, si truova dal Boccaccio detta. È nondimeno da sapere, che, in tutte le voci di questa guisa, la consonante P o la B o la C, che semplicemente e senza alcuno mescolamento di consonanti sta nel verbo, vi si raddoppia; ché non Sapia, sí come Sape, la qual tuttavia non è nostra voce, o Capia, se come Cape, che nostra voce è, ma Sappia e Cappia si dice, e le altre altresí, e cosí Abbia Debbia Faccia Taccia, Abbiamo Debbiamo Facciamo Tacciamo e dell’altre. Il quale uso e regola pare che venga per rispetto della I che alle dette consonanti si pon dietro, la quale abbia di raddoppiarnele virtú e forza. E perciò si dee dire, che non solo in questa guisa, ma in quelle ancora che si son dette, anzi piú tosto in ciascuna voce di qualunque verbo, nel quale ciò aviene, si raddoppino le consonanti che io dico; sí come in Abbiamo, che men toscanamente Avemo s’è detto, e in Taccio Tacciono, Piaccio Piacciono; e ancora la G, con ciò sia cosa che Deggio Veggio e dell’altre eziandio si son dette ne’ versi. Onde ne nacque, che in questa voce, che ora si dice Sapendo, disser gli antichi Sappiendo quasi per lo continuo, e Abbiendo in vece di dire Avendo molto spesso, e Dobbiendo in vece di dire Dovendo alcuna fiata.