Primo maggio/Parte seconda/IX

Parte seconda - IX

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Una più disgraziata alleata non sarebbe stato possibile di trovarla in tutta Torino. La vecchia signora Bianchini, benché figliuola d’un povero impiegato delle Dogane, che le aveva fatto passare un’infanzia assai dura, era, di spirito, una borghese raffinata, piena di pruriti aristocratici, che contentava come poteva, tenendosi in corrente di tutti i matrimoni, fatterelli e pettegolezzi della società aristocratica, con cui non aveva alcuna relazione: il che le pareva un segno di distinzione, e offendeva il suo figliuolo nel più vivo dell’orgoglio. Maritata appena uscita di collegio, vissuta sempre in uno stretto cerchio borghese, senz’altra istruzione che la scolastica, mista a poche reminiscenze di letture amene, non conosceva il popolo che nelle persone di servizio, non aveva della società alcuna idea generale, considerava ancora le classi inferiori come separate dalla propria da una immensa distanza. La vicinanza d’una persona di quelle classi, quando le toccava di sopportarla in un luogo pubblico, le metteva i nervi sossopra. L’idea poi d’essere offesa da un uomo o da una donna della "bassa gente" le rivoltava il sangue come quella d’una morte violenta. Quando udiva parlare di casi simili, invocava i più terribili rigori della legge, e si maravigliava che non s’arrestasse mezzo mondo, poiché aveva in mente che il potere pubblico fosse ad assoluta disposizione dei signori. Per lei l’uomo del popolo era come impastato con un’altra creta da quello della signoria, qualche cosa tra il bruto e l’uomo, come pareva il negro al bianco nei tempi migliori della schiavitù, e non ammetteva assolutamente che ci fosse miseria al mondo se non prodotta da depravazione e da ozio colpevole; ciò che le serviva di pretesto a non dar mai un soldo ad un povero. Per questa sua natura asciutta e altezzosa, il figliuolo non aveva mai avuto molta tenerezza per lei, come neanch’essa per il figliuolo, che non amava se non in quanto egli faceva onore al casato. Egli non si ricordava d’averla mai vista piangere, nemmeno quand’era fanciullo. La rispettava, le dava ancora del lei, com’ella l’aveva avvezzato dai primi anni, la trattava con tutte le apparenze dell’affetto; ma nulla più. Si turbò, per questo, prevedendo un diverbio doloroso, quando essa venne a prender le parti di sua moglie.

Ella salì apposta in casa sua, conducendo con sé la figliuola, perché la lezione servisse a lei pure, e l’assalì di fronte, in presenza della nuora, con l’aria di chi è sicuro d’averla vinta.

- O senti, caro Alberto -, gli disse - quando finirà questo va e vieni d’operai in casa tua?

- O perché deve finire? - domandò Alberto.

- Il perché è chiaro, perché non si addice al tuo rango, perché è una cosa... strana, fuori delle consuetudini, e lasciami dir la parola: sconveniente. L’hanno già osservato persino i vicini. - E soggiunse che lo stesso ingegner Geri, il figliuolo del padron di casa, le aveva domandato la sera avanti dal terrazzino, con un riso ironico: - Signora Bianchini, continua la processione?

Alberto fremé al pensiero che sua madre potesse biasimare la sua condotta con un suo nemico. Ma non disse parola su quel proposito.

- Una cosa sconveniente! -, rispose, fingendosi maravigliato - E perché mai? Sconveniente sarebbe il ricevere delle persone disoneste. Ma quelli ch’io ricevo sono uomini che lavorano per vivere, e lei non può dire che abbiano mai commesso delle cattive azioni.

- Non lo so... Ma non è questo. È che sono gente inferiore a te di condizione sociale, di educazione, di tutto, e tu li tratti con una familiarità... che non può stare.

- Ma mi scusi, mamma. Se io non dovessi ricever loro perché mi sono inferiori di condizione sociale, non dovrebbe ricever me un gran signore od un principe perché sono d’una condizione superiore alla mia. Sono inferiori d’educazione! Si levano il cappello quando entrano, non bestemmiano, non m’hanno ancor fatta, ch’io me ne sia accorto, alcuna villania. Mi può dire che hanno meno istruzione. Ma se io li faccio venire appunto perché mi dicono delle cose che non so, e che ho bisogno di sapere! In che cosa consiste dunque la sconvenienza?

La madre fece un atto di stizza - Tu non mi vuoi comprendere. Insomma, son gente diversa da noi; ecco l’essenziale; e noi non dobbiamo stare che coi nostri pari.

- Diversa da noi! Vorresti dire diversa di natura?

- Sì, di natura! - rispose la madre, col viso alto.

- Ah! mamma -, disse Alberto sorridendo - Confronta un poco i loro bimbi di due o tre anni coi signori della stessa età, e vedi se non hanno la stessa ingenuità, la stessa grazia, lo stesso incanto infantile. Lavali e scambia i vestiti, e dimmi se li riconosci. Metti gli uni nell’agiatezza e gli altri nella povertà, e vedrai che quelli diventan fini e questi volgari, come accadrebbe a noi stessi, già grandi, se barattassimo panni e mestiere coi loro padri. Dov’è dunque la diversità di natura?

La signora perdette la pazienza.

- Oh infine, queste son parole. Io bado ai fatti. E te la voglio dir chiara come la penso. Per me tutta questa gente che tu proteggi non è che schietta e pretta canaglia, guasta da tutti i vizi, incapace d’un sentimento elevato. Non li vediamo tutti i giorni? Gli uomini briaconi e bestiali con le loro donne, le donne sfaccendate, brutali coi figliuoli, tutti spreconi senza giudizio, intrattabili quando hanno da mangiare, e senza dignità a chieder la limosina quando sono ridotti nella miseria. Questi sono i fatti. E questa miseria di cui si fa tanto chiasso, se vuoi che te lo dica, è in gran parte un’esagerazione, un’impostura che indigna, fatta per vuotarci la borsa, e tutta questa tenerezza per la gente bassa, che ora è di moda, mi pare un’aberrazione, una debolezza vergognosa, che ci abbassa al loro livello. - Ciò detto, scosse il capo, e riprese il suo atteggiamento ostinato ed altero.

Alberto la guardò un momento con espressione di sincero dolore, e poi disse con voce tremante e piena d’affetto: - No, mamma! No, mamma! Non dica questo, non è vero, è una calunnia, un’ingiustizia da far piangere il cuore! Quella di cui parla lei è la feccia del popolo, che c’è veramente, come c’è una feccia delle alti classi; ma lei non vede che quella, ecco l’errore deplorevole. Ma nel popolo vi sono delle migliaia di migliaia di lavoratori onesti, d’una pazienza ammirabile e d’una santa rassegnazione, che si logoran le ossa per mantenere i loro figliuoli e i loro vecchi; ci sono migliaia di donne che si strappano il pane dai denti per la loro famiglia, che soffrono maltrattamenti e privazioni con una forza eroica, e la cui vita è un dolore e un sacrifizio continuo; ci son migliaia di ragazze che intisichiscono al lavoro con un coraggio e una costanza di martiri! E tutta questa gente è quella che fa il lavoro duro dell’umanità, cara mamma, che sostiene la lotta diretta con la natura, che procura a noi il superfluo e ci fa bella la vita, campando dello stretto necessario e offrendo una messe spaventosa alla Morte! No, mamma, la definisca come vuole; la chiami, e dirà la verità, carne da officina, da ospedale e da cannone; ma non la chiami canaglia, perché è un offender Cristo sulla croce!

Sua moglie abbassò gli occhi, sua sorella si voltò da un’altra parte per nasconder la commozione a sua madre; ma questa scoperse con un sorriso i denti finti; che era il suo modo di esprimere il dispiacere d’esser contraddetta. Rispose però con più mitezza:

- Questi sono buoni sentimenti che provano la tua bontà; ma niente di più. Del resto, siamo fuori della quistione. Io ti parlavo della inopportunità di quelle visite... Tu dici che n’hai bisogno. Cos’è questo libro che stai scrivendo?

Alberto glie lo disse: un libro sul lavoro precoce dei fanciulli, sull’abuso, sullo strazio che si fa del loro corpo e del loro spirito, a scopo di lucro, sfibrando e corrompendo le generazioni al loro sorgere, in tutti i paesi del mondo, e in Italia in special modo, dove la legislazione protettrice dell’infanzia era, a nostro disonore, la più arretrata d’Europa.

- Fai bene, Alberto! - esclamò sua sorella.

Ma la mamma la rimbeccò come meritava: - Non giudicare di cose di cui non t’intendi. -E afferrando l’occasione, le fece anche una risciacquata perché, a desinare, aveva fatto l’eco a suo padre; il quale, da un po’ di tempo, saltava su ogni momento con delle idee di vecchio matto sopra la prossima rivoluzione e certe tenerezze rivoltanti per gli scamiciati. Poi, rivolgendosi al figliuolo: - Per me - disse -, non ho nulla da dire; puoi scrivere quello che ti pare. Sebbene, dovresti anche un po’ parlare di tutta quella ragazzaglia malvagia, che devasta i giardini pubblici e sputa sui vestiti delle signore. Permetterai soltanto a tua madre di farti una raccomandazione: di non metter nel tuo libro le idee che hai manifestate quella sera a tuo suocero... che saranno sacrosante, come tu vuoi, ma che ti possono condurre alla rovina.

Ah! la "rovina"! Quell’eterno spauracchio da vigliacchi, davanti al quale eran saggezza le complicità e i silenzi più infami! E voleva dirlo; ma si frenò, e rispose seccamente: - Parliamo d’altro, mamma, la prego.

E parlarono d’altro per quel giorno.