Primo maggio/Parte seconda/VIII

Parte seconda - VIII

../VII ../IX IncludiIntestazione 25 settembre 2008 75% romanzi

Parte seconda - VII Parte seconda - IX

Dopo quel giorno vennero altri operai, e con lo spesseggiare di quelle visite, crebbe il malumore della signora. Ciò che più spiaceva ad Alberto era di vederla venire, dopo ogni visita, a spalancar le finestre del suo studio, come se ci fosse stato un animale selvatico; e tanto più gli spiaceva perché, non facendo ella questo per ostentazione di disprezzo, ma naturalmente, quasi per un senso di repugnanza fisica, egli capiva che sarebbe stato assai più difficile di convincerla della sconvenienza di quell’atto. Oramai, era come un affare regolato: ogni giorno che veniva uno di quegli "uomini", nasceva a tavola una discussione. Essa non discuteva più sulla quistione sociale: si restringeva a contraddirlo sull’argomento della classe operaia, come se si fosse proposta di soffocare le sue simpatie, col solo scopo di espurgare la casa. E non lo assaliva che per vie traverse. Quando nella cronaca del giornale era annunziato un furto, un atto vandalico, una birbonata qualunque commessa da operai, essa leggeva il fatto, con l’aria di dire: - Vedi, son sempre loro. - E allora egli ribatteva, leggendo o citando birbonate eguali o peggiori della classe signorile: fughe di "cassieri", bancarotte fraudolente, tresche scandalose, truffe e baratterie di giocatori e d’uomini politici. Quando sentiva nella strada il canto squarciato d’un ubbriaco, essa esagerava l’espressione del proprio ribrezzo, esclamando: - Che gente! - e c’era sottinteso: - Sono i tuoi protetti - E allora egli rispondeva: - Che vuoi? S’ubbriacano perché, non potendo bere che la domenica, ingoiano in un giorno solo quella quantità di vino che il signore può ripartire in tutta la settimana. - E cercava d’indurla all’indulgenza, spiegandole che il lavoro faticoso e l’insufficienza della nutrizione erano una forte causa predisponente all’intemperanza, tanto che in tutti i paesi del mondo predominava l’alcoolismo negli operai che avevan meno paga e un più lungo orario di lavoro. Ma questi argomenti le parevan sottigliezze, e la facevan sorridere. Essa gli diceva un’altra volta: - Va a sentire gli orrori che dicono quegli operai seduti sulla panca del viale. O Alberto, come puoi avere simpatia per gente simile? - E allora egli s’impazientava. Come poteva essa nella volgarità e nella durezza di quella "gente" trovare una ragione di respingerla e di volerle male, quando erano il fatto appunto che ci doveva far rivolgere ad essa tutti i nostri pensieri e le nostre cure? Come poteva far loro una colpa di ciò che era una nostra vergogna? Ma questo ella non capiva, né poteva capire. C’era in fondo all’anima sua il disprezzo quasi inconsapevole del lavoro manuale, infiltratovi dai costumi, dalla letteratura, dal linguaggio medesimo della sua classe, legato e confuso con una vaga idea ereditaria che tutta quella "gente" non fosse già la maggioranza, ma un’appendice del genere umano, condannata a quel lavoro non da una necessità sociale, ma da una inferiorità, da un’inettitudine nativa a levarsi più in alto. E non c’era ragione che valesse a vincere questo suo sentimento, che pure ella non esprimeva mai in modo aperto. Alberto non aveva mai avuto una miglior prova di quanto i sentimenti siano tenaci ed abbia poco a veder con essi la logica. Egli capiva che quelle visite d’operai la ferivano davvero nel sentimento, quale essa l’aveva, della dignità della casa, e che le facevano anche più male di quello che, per non spiacergli troppo, non dimostrasse; e ne sentiva quasi più pietà, che dispetto.

Ma prevalse il dispetto ben presto. Un giorno, mentre c’era nello studio un fabro ferraio mezzo lacero, essendovi entrato il ragazzo, la signora lo richiamò vivamente, con accento di rimprovero, come se l’avesse visto sull’orlo d’una fogna, e rientrato che fu nell’altra stanza, richiuse l’uscio con forza. Il giorno dopo, fingendo di credere che suo marito non fosse in casa, rimandò un fuochista dal viso nero, che era venuto a cercarlo. Alberto si lagnò dell’una cosa e dell’altra con parole un po’ aspre, e lei gli domandò perdono, sinceramente addolorata d’avergli dato un dispiacere. Poi gli domandò se avesse proprio bisogno di consultare tutta quella gente, e inteso che sì, che ne aveva proprio bisogno: - Ma che cosa ti possono insegnare? - disse sorridendo. E ascoltò attentamente le sue spiegazioni; ma non parve persuasa. E ricominciò i giorni appresso la sua opposizione sorda, molle e tenace; alla quale Alberto avrebbe finito con rassegnarsi, s’essa non si fosse inasprita tutt’a un tratto per l’intervento d’un’alleata, che sua moglie stessa cercò e condusse nel campo.

Era sua madre.