Dopo la visita del Barra, che forse era stato mandato a tastarlo, il Bianchini s’accompagnò qualche volta col Rateri, che veniva più sovente al Liceo a chieder del fratello. Parlavano prima della scuola; poi, girando la conversazione con arte, dell’argomento che premeva di più a tutti e due, come se ci fossero venuti per caso. Il Rateri non faceva che risponder alle domande che gli rivolgeva l’altro intorno ai redattori del giornale, a libri, ad altri giornali del partito; ma con un ritegno visibile, come se volesse tenerlo in là, sospettando in lui un neofita impreparato e leggiero, che presto avrebbe mutato idea. Ma questa sua fredda diffidenza e la serietà immutabile, unite alla cognizione profonda e netta che, con pochissime parole, egli veniva sempre rivelando più chiaramente, di libri e di quistioni vaste e complesse, a cui l’intelligenza del Bianchini s’era appena affacciata, crescevano in questo la stima, e gli infondevano un sentimento di soggezione, che gli avvivava la simpatia. Una cosa sopra tutte ammirava in lui: la conoscenza intima, che egli aveva, di tutti i giovani d’ingegno noti in Italia, nel campo letterario o nel scientifico, i quali dessero indizio di dover presto o tardi, per la logica della loro natura, convertirsi alle sue idee; la diligenza oculata con cui teneva dietro alle fasi lente di questo loro mutamento in tutte le loro manifestazioni anche più indirette; la sicurezza con la quale definiva gl’intoppi intellettuali e morali che, a suo giudizio, ritardavano la trasformazione negli uni e negli altri, e la particolare funzione che avrebbe compiuto, il servigio sociale che avrebbe recato alla causa ciascun di loro, quando l’avesse risolutamente abbracciata. E tutto questo diceva freddamente, con l’esattezza di linguaggio d’un botanico che parlasse di piante crescenti sotto i suoi occhi nell’orto del suo laboratorio. E così pareva che osservasse sulla palma della mano tutto il movimento socialista, nomi, pubblicazioni, comizi, atti di parlamenti, formazioni di società, ogni più lieve progresso dei più piccoli paesi, il cammino quotidiano che faceva l’idea sulla faccia di tre continenti, e ne parlava in un modo suo proprio, a cenni e a frasi illuminanti, con un’arte che ravvicinava, legava gli uomini e i fatti più lontani e ingrandiva ogni cosa ed il tutto, rappresentando alla fantasia del Bianchini la vastissima agitazione come quella d’un esercito immenso ch’egli vedesse ordinarsi dall’alto sopra una sconfinata pianura. Né gli sfuggiva mai una parola d’entusiasmo per la causa, o di pietà per le miserie umane, o di simpatia per le classi inferiori, come se il trionfo del socialismo fosse un fatto certo e necessario al pari dell’adempimento d’una legge cosmica, a sollecitare il quale è vano e risibile ogni sfogo di sentimento. E ciò faceva nel Bianchini più forte impressione d’ogni più affettuosa eloquenza, poiché non c’è cosa che persuada tanto gli animi appassionati quanto il veder persuasi della propria idea degli animi freddi, in cui la medesima fede ha un fondamento diverso. Ma mentre saliva in lui l’ammirazione, durava sempre eguale il riserbo nell’altro, che non gli rivolgeva mai una domanda diretta intorno alle sue opinioni, e non mostrava alcuna curiosità di conoscerle, come se della sua conversione al socialismo non gli importasse il minimo che. E questa indifferenza sempre più lo infervorava, gli attizzava nel cuore l’ambizione, il bisogno prepotente di conquistare a forza la sua stima e la sua fiducia. Egli si diceva che un giorno lui e tutti gli altri avrebbero ammirato la passione che gli ardeva l’anima, e riconosciuto ch’egli portava alla causa una forza ch’essi non avevano, e l’avrebbero amato: e dietro a questa idea, che gli raddoppiava le forze agli studi e gli ispirava mille disegni di propaganda letteraria e d’azione, lo stimolava quasi di nascosto, gli sorrideva il pensiero d’imporre il rispetto e di strappare la simpatia a quella specie di monaca rivoluzionaria, a quella strana donna dal viso pallido e dagli occhi profondi, di cui si sentiva ancor lo sguardo diffidente confitto in mezzo alla fronte, come una punta di spilla. In questo stato di mente e d’animo egli si trovava quando eran seguiti i moti del 1° Maggio.