XXXVIII

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XXXVII XXXIX
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XXXVIII.


MEMORIE BOLOGNESI1



 
VV

IGNA, nel mio cortil nereggia un fico,
L’albero sarto del gran padre Adamo;
Io pranzo all’ombra de’ suoi rami e dico:
         4— Vecchia Bologna, t’amo!

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    T’amo, del senno antico antica madre
E un tesoro d’affetti in cor rinchiudo
Per le tue donne dalle occhiate ladre,
         8Pel tuo gigante nudo.

    O San Michele, anch’io ci son passato
Per le tue strade solitarie e belle
E mi scorgeva un luccicar velato
         12Di lucciole e di stelle

    Nell’ora queta in cui l’odor de’ prati
Umido sal da’ tuoi valloni foschi,
Nell’ora in cui le serve ed i soldati
         16Spariscon ne’ tuoi boschi.

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    Sul tuo monte tessei romanzi anch’io
Profumati di cinnamo e di mirra,
E il salario pagai dell’amor mio
         20Con un bicchier di birra.

    Fu all’ombra de’ tuoi viali, o San Michele,
Ch’io la trovai, la donna del mio core,
La giovinetta che mi fu fedele
         24Quasi ventiquattr’ore!

    Coi gomiti sul ponte ella volgea,
Come una santa al ciel le luci belle,
Ed io, poichè l’amor già mi tenea,
         28Chiesi — guarda le stelle? —

    Ella chinando gli occhi di colomba,
Gli occhioni di colomba innamorata,
Rispose — no; sto qui a sentir la tromba
         32Suonar la ritirata. —

    Era bionda e pareva un’angioletta,
Una cosa di ciel che non ha nome
E come un casto odor di mammoletta
         36Uscia dalle sue chiome.

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    Io le dissi — fanciulla, Iddio ci sente:
La gran parola in faccia a lui diciamo!
Di’, giovinetta bionda ed innocente,
         40Di’, vuoi tu amarmi? Io t’amo. —

    Ella rispose — come sei gentile!
Stiamo in Sant’Isaia, numero tale,
La porticina in fondo del cortile,
         44Su due rami di scale —

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Basta così — Non posso più badarvi,
Care memorie del mio tempo antico:
Ci leggono le mamme e per velarvi
         48Dovrei sfogliare il fico.



    E tacerei — ma tu, Vigna, mi scrivi:
         — Mercutio, a che ti duoli?
Lascia strillare noi bruciati vivi
         52Da questi atroci soli;

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Noi che cuociamo, noi, dobbiam strillare,
         Diventati frittura.
Tu vivi al fresco, in faccia al cielo, al mare,
         56All’immensa natura! —

Tu dici ben, Giovanni mio, fedele
         E poliglotto amico;
Veggo nel glauco mar le bianche vele
         60Pranzando sotto al fico

M’allegran gli occhi la marina azzurra
         E le campagne opime;
Freddo un ruscel nel bosco mio susurra;
         64La natura è sublime!

Ma questa carne di somaro infame
         La pago per vitella,
Questo carton lo pago per salame...
         68Oh, cara mortadella!

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D’acqua e di poesia gonfio il ruscello
         Fugge laggiù nei boschi,
Ma il rigagnolo mio com’è più bello
         72Che passa per via Toschi!

E come cambierei questa ficaia,
         Questa vista divina,
Col Caffè delle Scienze e la fioraia
         76Degli Etruschi regina!

Canta sul fico mio la capinera,
         Ma se non ti dispiace
Io preferisco un bel venerdì sera
         80In piazza della Pace.

Quando Antonelli col cheppì alla sgherra
         E lo spadon sui tacchi
Cava gli applausi e i bis di sotto terra
         84Coi Goti del... Panzacchi.

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O bel venerdì sera! Il biondo Ottone
         Versa birra gelata,
Gli zerbinotti vanno in processione
         88Dietro la fidanzata;

E le ragazze van dove c’è chiaro
         Per mostrare il vestito
E pescar colle occhiate il pesce raro
         92Che chiamano marito!

Questa è la poesia, la vita, il moto
         Che la mia mente sogna...
È pieno il mio bicchier — senti? — Lo vuoto
         96Per te, vecchia Bologna!



Per te, Bologna mia! Canti chi vuole
    La natura, le pecore, i pastori,
         Questo feroce sole
    100E questo bosco pien di raffreddori

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Venga l’arcadia a strimpellar canzoni
    All’infinito mare, al ciel turchino,
         Ai naufraghi mosconi
    104Cascati ad annegar dentro al mio vino:

Io nato ai gaudi del consorzio umano,
    Alle battaglie dell’intelligenza,
         Del robusto villano
    108Non invidio le spalle e l’innocenza:

Ma invidio voi che per le arroventate
    Vie cittadine a lavorar movete,
         Voi che m’invïdiate,
    112Voi che siete felici e nol credete!

Non gridate cogli Arcadi e coi preti:
    — Lungi dalle città, lungi dal vizio —
         Son ciarle di poeti:
    116L’innocenza de’ campi è un pregiudizio.

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Ecco una donna là, sull’erba verde,
    Laggiù, lungo la via che al bosco adduce,
         E il suo profil si perde
    120Sfumato nell’azzurro e nella luce.

Chi sarà? dove va? La chioma bionda
    Saettata dal sol di qui si vede:
         Ella guata sull’onda,
    124Guata pei campi, origlia e poi procede.

È la più bella bimba del villaggio,
    La più cara di tutte e la conosco:
         Perchè questo viaggio?
    128Che diavol cercherà laggiù nel bosco?

Che si tratti d’amor? No certamente:
    Troppo il pudor sul volto suo si vede:
         Ella è troppo innocente...
    132No, no, mi sbaglio!.. Oh Dio, che mai succede?

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Esce un uomo dal bosco... è un uom davvero!..
    Io che nel fuoco avrei messo la mano!
         Madonna, come è nero!
    136Ah...! corpo d’una bomba!.. è il cappellano...

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Basta, basta così — Non è più al trotto
    È alla carriera che si va — Fermiamo —
         E tu mio bel strambotto
    140Vanne a Bologna e per me dille: — Io t’amo,

T’amo ed affretto il dì del mio ritorno,
    T’amo, t’adoro, t’idolatro e dico:
         S’io ti scordassi un giorno,
    144Ch’io dondoli appiccato a questo fico!

Falconara 1874.



Note

  1. Questa poesia diretta a G. Vigna Dal Ferro, ora nell’America del Nord, dove fu segretario della Commissione Italiana per l’Esposizione di Filadelfia, è la sola di argomento esclusivamente bolognese che ci permettiamo di inserire in questa raccolta. Ai non bolognesi che non conoscono il Nettuno del Giambologna che il popolino chiama il gigante ed ignorano le ombre della Villa Reale di S. Michele in Bosco, non sarà inutile il dire che Sant’Isaia e Via Toschi sono due strade bolognesi: che il Caffè delle Scienze possedeva una fioraia arrivata alla celebrità per aver rappresentato la moglie di un Lucumone Etrusco in una scherata; che in piazza della Pace nei venerdì sera d’estate la banda musicale cittadina rallegrava il numeroso pubblico co’ suoi concerti. In quell’epoca fanatizzavano i brani dell’opera i Goti del Gobatti, così ingegnosamente difesi dall’illustre critico Enrico Panzacchi. Quanto al biondo Ottone è un buon birraio vürtemberghese, biondo così così, poichè l’emistichio è rubato al Carducci, e che vende la birra di Vienna appunto in piazza della Pace. — Le spiegazioni sono lunghe, ma volendo inserire la poesia, già stampata nel giornale bolognese la Patria, allora diretto dal Vigna Dal Ferro, erano troppo necessarie.

    O. G.