Poichè mirar la maestà immortale

Fulvio Testi

XVII secolo Indice:Opere (Testi).djvu Letteratura Poichè mirar la maestà immortale Intestazione 29 maggio 2023 75% Da definire

Ne le squallide piaggie, ove Acheronte Non per legar con musiche catene
Questo testo fa parte della raccolta Poesie liriche di Fulvio Testi - Parte prima
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PER UN REGALO DI MOSCATI E MALVAGIE

fattomi dal signor

DOMENICO MOLINO

Poichè mirar la maestà immortale
     Del Celesta Motor Semele volse,
     E che cinto di fiamme in sen l’accolse
     Bacco ne la sua morte ebbe il natale.
5Ma per temprar de la materna arsura
     Il concetto calor, nato a gran pena,
     Schiera di Ninfe in solitaria arena.
     Il divino fanciul presero in cura.
E quand’osar contra le sfere armarsi
     10Spinti da insano ardir gl’empi Giganti,

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     Cangiate ei per timor forme, e sembianti,
     Nel profondo del mar corse a celarsi.
Così favoleggiò la prisca etate,
     Forse per accennar con finta voce,
     15Che ’l liquor di Lieo troppo è feroce,
     Se no ’l domano ognor’onde gelate.
Molino, il troppo ardir mi si perdoni,
     Non fia già ver, ch’ai rimbambiti accenti
     D’anile austerità mi pieghi, e tenti
     20Effeminar d’un maschio Nume i doni.
Vider, guari non è, de le cretensi
     Vigne i nobili umor le mense mie,
     Che tu de l’Adria per l’ondose vie
     Mandasti già sol per bearmi i sensi.
25Allor dentro le vene un’ardor lieve
     Dolcemente mi scorse: e giurerei,
     Se pur bevanda in cielo usan gli Dei,
     Ch’ambrosia più gentil Giove non beve.
O fra quante Nettuno isole inonda
     30Quattro fiate, e sei Creta felice;
     Già, che la fertil tua bella pendice,
     Di celesti tesori in terra abbonda,
A i campi tuoi giri sereno il cielo,
     Le spiagge tue cruccioso mar non turbi,
     35Nè le piante, nè l’erbe unqua perturbi
     Di nemica stagion grandine, o gelo.
De i re de l’Asia ad onorar le mense
     Dal Coaspe veniano onde d’argento;
     A me, che in povertà vivo contento,
     40Cidonio colle i suoi liquor dispense.
Abbiansi i lor diademi, e Ciro, e Serse;
     Pur che vite cretense il crin m’onori,
     Molino, io non saprò gli aurei folgori
     Invidiar de le corone Perse.
45Ma voi, castalie Dee, s’egli è pur vero,
     Che Bacco al par d’Apollo inspiri i carmi
     E che dopo le tazze al suon de l’armi
     Accordasser le trombe Ennio, ed Omero.
Del mio Molino al nobil crin tessete
     50D’eterni fiori un’immortal corona;
     Egli è di vostra schiera. In Elicona
     Tuffò le labbra, e vi smorzò la sete.
Entro la saggia bocca i favi loro
     Forman l’api ingegnose; e mentre snoda
     55L’alta eloquenza onde ogni core annoda,
     Escon da’ labbri suoi catene d’oro.
Non ha d’Adria il leon fors’altro figlio,
     Che di gloria maggior orni sua riva;
     Ne v’è (taccia l’invidia) alma, in cui viva
     60Unita a tanta fè, tanto consiglio.
O reina del mar, reliquia grande
     De la latina libertade, ascolta
     Le voci del mio cor. Forse una volta
     Famose esser potriano, e memorande.
65Corron l’insegne tue dal Moro al Trace
     Sempre vittoriose, e per tua spada
     Ogni barbara turba estinta cada,
     Ch’osi de’ regni tuoi turbar la pace.
Regga però costui pietoso, e giusto
     70De’ tuoi popoli il freno, e Parca amica
     Con lenta man da la conocchia antica
     Tragga degli anni suoi lo stame augusto.
Con trionfante prua ritorni intanto
     Il guerriero fratel da l’Asia doma,
     75E di palme Idumee cinto la chioma
     Dia non umil materia al nostro canto.