Poichè mirar la maestà immortale
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PER UN REGALO DI MOSCATI E MALVAGIE
fattomi dal signor
DOMENICO MOLINO
Poichè mirar la maestà immortale
Del Celesta Motor Semele volse,
E che cinto di fiamme in sen l’accolse
Bacco ne la sua morte ebbe il natale.
5Ma per temprar de la materna arsura
Il concetto calor, nato a gran pena,
Schiera di Ninfe in solitaria arena.
Il divino fanciul presero in cura.
E quand’osar contra le sfere armarsi
10Spinti da insano ardir gl’empi Giganti,
Cangiate ei per timor forme, e sembianti,
Nel profondo del mar corse a celarsi.
Così favoleggiò la prisca etate,
Forse per accennar con finta voce,
15Che ’l liquor di Lieo troppo è feroce,
Se no ’l domano ognor’onde gelate.
Molino, il troppo ardir mi si perdoni,
Non fia già ver, ch’ai rimbambiti accenti
D’anile austerità mi pieghi, e tenti
20Effeminar d’un maschio Nume i doni.
Vider, guari non è, de le cretensi
Vigne i nobili umor le mense mie,
Che tu de l’Adria per l’ondose vie
Mandasti già sol per bearmi i sensi.
25Allor dentro le vene un’ardor lieve
Dolcemente mi scorse: e giurerei,
Se pur bevanda in cielo usan gli Dei,
Ch’ambrosia più gentil Giove non beve.
O fra quante Nettuno isole inonda
30Quattro fiate, e sei Creta felice;
Già, che la fertil tua bella pendice,
Di celesti tesori in terra abbonda,
A i campi tuoi giri sereno il cielo,
Le spiagge tue cruccioso mar non turbi,
35Nè le piante, nè l’erbe unqua perturbi
Di nemica stagion grandine, o gelo.
De i re de l’Asia ad onorar le mense
Dal Coaspe veniano onde d’argento;
A me, che in povertà vivo contento,
40Cidonio colle i suoi liquor dispense.
Abbiansi i lor diademi, e Ciro, e Serse;
Pur che vite cretense il crin m’onori,
Molino, io non saprò gli aurei folgori
Invidiar de le corone Perse.
45Ma voi, castalie Dee, s’egli è pur vero,
Che Bacco al par d’Apollo inspiri i carmi
E che dopo le tazze al suon de l’armi
Accordasser le trombe Ennio, ed Omero.
Del mio Molino al nobil crin tessete
50D’eterni fiori un’immortal corona;
Egli è di vostra schiera. In Elicona
Tuffò le labbra, e vi smorzò la sete.
Entro la saggia bocca i favi loro
Forman l’api ingegnose; e mentre snoda
55L’alta eloquenza onde ogni core annoda,
Escon da’ labbri suoi catene d’oro.
Non ha d’Adria il leon fors’altro figlio,
Che di gloria maggior orni sua riva;
Ne v’è (taccia l’invidia) alma, in cui viva
60Unita a tanta fè, tanto consiglio.
O reina del mar, reliquia grande
De la latina libertade, ascolta
Le voci del mio cor. Forse una volta
Famose esser potriano, e memorande.
65Corron l’insegne tue dal Moro al Trace
Sempre vittoriose, e per tua spada
Ogni barbara turba estinta cada,
Ch’osi de’ regni tuoi turbar la pace.
Regga però costui pietoso, e giusto
70De’ tuoi popoli il freno, e Parca amica
Con lenta man da la conocchia antica
Tragga degli anni suoi lo stame augusto.
Con trionfante prua ritorni intanto
Il guerriero fratel da l’Asia doma,
75E di palme Idumee cinto la chioma
Dia non umil materia al nostro canto.