Non per legar con musiche catene
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PER LA MORTE
del signor
FERRANTE BENTIVOGLIO
Non per legar con musiche catene
L’usato corso a l’onde,
Io del Tracio cantor bramo la cetra;
Ne per tirar dal monte o pianta o pietra,
5E di sassi e di fronde
Farmi d’intorno inaspettate scene:
Ma se tal or de le famose corde
Ambizïon mi morde,
Vien che ne’ regni de le morte genti
10Vorrei destar pietà con dolci accenti.
Fama è che mentre a le tartaree soglie
Orfeo con meste note
Richiedeva il suo ben dal re d’Averno,
Tutte laggiù nel dispietato inferno
15A quelle voci ignote
Cessâr le pene e s’acchetâr le doglie:
Cerbero tacque, e a l’armonia celeste
Chinò l’orride teste,
E mentre il suon de l’aureo plettro udissi
20Si fe’ il silenzio ne’ profondi abissi.
De la porta crudel stridono intanto
I cardini infocati,
E con novo stupor n’esce Euridice.
Ma se cetra avess’io tanto felice,
25Ne’ regni disperati
Di furto più gentil mi darei vanto.
Te del mio gran Ferrante alma guerriera,
Infra l’Elisia schiera
Cercando andrei ne l’Erebo profondo
30Per arricchir di tua presenza il mondo.
Ma troppo a’ miei desiri è ’l Fato avverso.
Or de la Tracia lira
Splendon lassù nel ciel le fila aurate;
Ed io colmo di doglia e di pietate
35Intorno a la tua pira
Da l’intimo del cor lagrime verso.
Tu da quest’occhi miei prendi tributo
Mesto sì, ma dovuto:
Che se vita comun non vive il Forte,
40Perchè con gli altri aver comun la morte?
Vivon secoli intier timide cerve,
L’angue ringiovinisce,
L’orïentale angel morto rinasce.
L’uom ch’ad opre maggiori in terra nasce
45Come lampo svanisce,
O come spuma in mar quand’ei più ferve.
Ben fece a questo ciel di Stige a scorno
Ippolito ritorno;
Ma d’Esculapio or non ritrova il senno,
50Nè tai stupori a nostra età si fenno.
Sapess’io pur de l’Epidaurio Dio
Emular quella destra,
Ch’al bel fanciul saldò le piaghe acerbe;
Ch’or mendicando andrei da fiori ed erbe
55Per ogni balza alpestra
Rimedio a la tua morte e al dolor mio.
Dar al corpo di lui vita e salute
Fu pietà fu virtute:
Ma fora arte più degna opra più bella
60Dar al tuo cener freddo alma novella.
Ei di selvagge e timidette belve
Cacciator non mai stanco
Sol per ischerzo oprò l’arco e lo strale;
Fu sua gloria maggiore a fier cignale
65Aprir i’ispido fianco
Del frondoso Erimanto infra le selve;
Mentre visse quaggiù noto fu solo
Di Dïana a lo stuolo;
Garzon crudo di cor, bel di sembiante,
70Sol di sè stesso e de’ suoi boschi amante.
Tu fra selve di lance in su la riva
De l’indomito Scalde
Cacciator di Bellona i dì traesti;
Là di sangue infedel l’acque tignesti,
75Che poi vermiglie e calde
Scoloraron del mar l’onda nativa.
Te vide il Po sotto l’insegne Ibere
Fugar turbe guerriere,
Quando l’aquila e ’l toro a guerra usciti
80Fêr rimbombar al suon de l’arme i liti.
Per te lungo il Danubio il fier Boemo
Scorse pur dianzi in guerra
Del suo sangue fumar le patrie nevi.
Lasso! ma troppo i giorni tuoi fur brevi:
85Gelido marmo or serra
L’altrui speranze e ’l tuo valor supremo.
Almeno un ramo sol di sì gran stelo
A noi lasciasse il Cielo:
Ah! che la sorda Dea con falce adonea
90Da la radice amaramente il tronca.
Ma forse io che nel duol sommerso ho’l core,
Co’ pianti e sospir miei,
Felicissimo eroe, scemo il tuo riso.
Or tu colà nel fortunato Eliso
95Con gli Achilli e i Tesei
Favoleggiando vai d’arme e d’amore;
O più rimoto al piè de’ mirti ombrosi
Dolcemente riposi,
Se pur in quelle selve opache e vaste
100Ad anima sì grande ombra è che baste.
E come nubi di vapor terreno
Che tenebrose e brune
Saglion del sole ad offuscar la face,
De la tua dolce e sempiterna pace
105Le mie doglie importune
Vengono a conturbar il bel sereno.
Ma pur segni d’amor son anco i pianti.
Tu de gli affetti erranti
Scusa il debole cor: me stesso i’ piango,
110Che qui privo di te morto rimango.