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POESIE | 399 |
Pel lubrico sentier d’alpestro monte
A l’erto giogo de l’acuta balza
Ei vasta pietra innalza,
E ne gli eterni precipizi invano,
10Senza posa trovar, stanca la mano.
Pena quassù non disugual quegli ave
Che da Fortuna amica
Misero attende onor, spera grandezze.
Ei sovra monti di sognate altezze
15Posar pur s’affatica
De i superbi pensier la soma grave;
Ma il van desio come volubil sasso
Indi rovina al basso;
Quest’il solleva, e per l’aeree strade
20Di novo il porto, e pur di novo ei cade.
Frate, tu’l sai ch’al biondo Tebro in riva
Di tumide speranze
Per non breve stagion l’alma pascesti.
Deh! saggio omai t’acqueta, e non infesti
25Con triste rimembranze
Il cor tranquillo ambizïon furtiva:
E se qual’Idra a germogliarti in seno
Torna il mortai veleno,
Opra de la ragione il ferro e ’l foco:
30D’Ercole il vanto in paragon fia poco.
Scioglie dal lito Ispan Ligure abete
Che d’immensi tesori,
Prede al mar destinate, il ventre ha carco:
Come scitico stral spinto da Parco
35Vola fra i salsi umori
Gravido i tesi lin d’aure quiete,
Ecco improvviso il ciel balena e tuona;
Da l’antro Eolo sprigiona
La turba impetuosa, orrida cresce
40L’onda, cui più d’un vento agita e mesce.
Sospiroso il nocchier cala le vele,
E con provvida destra
Fra le cieche procelle il timon gira;
Ora l’Indica pietra ora il ciel mira;
45Ma nulla arte maestra
Giova contra il furor d’Austro crudele;
Egli de le tenaci ancore adonche
Già le ritorte ha tronche;
Onde al Nocchier ne l’ultimo periglio
50Somministra il timor sano consiglio.
Ne le miserie sue prodigo ei fatto
Sazia del mar le voglie,
Getta le merci entro le vie profonde.
Sparse veggonsi allor notar per l’onde
55Le preziose spoglie,
Che fin da l’India avida gente ha tratto;
De gli ori intesti, e de’ filati argenti
Fansi ludibrio i venti;
Ma il legno che parea pur dianzi assorto,
60Scarco di lor se ne ricovra in porto.
Frate, so ben che ’l procelloso regno
Ov’ha Nettuno impero
Solcar non vuoi con temeraria prora;
Ma il mar del mondo ha i suoi perigli ancora;
65E non senza mistero
Del provvido nocchier l’arte t’insegno.
Quel lusinghier desio, che sì t’alletta
Sgombra da l’alma e getta
Quelle speranze ingannatrici; e l’alma
70Ne le tempeste sue troverà calma.
Non hanno, ed a me il credi, altro che ’l nome
Di vago e spezïoso
Queste che ’l mondo insan grandezze appella.
Faccia amico destin, propizia stella
75Che d’ostro luminoso
Ti cinga un giorno il Vatican le chiome;
Nel grado eccelso infra gli onori immensi
Guerra faranti i sensi;
Nè più lieto sarai di me che privo
80D’ogni splendor fra queste selve or vivo.
Pur che grandini acerbe o nebbie oscure
De gli angusti miei campi
Scender non miri a dissipar le spiche;
Pur che d’autunno in queste piagge apriche
85Vegga imbrunir a’ lampi
Di temperato sol l’uve mature,
Più queto i’ dormirò fra le nud’erbe,
Ch’altri sotto superbe
Cortine d’oro, ov’albergar non ponno
90Lunga stagion la sicurezza e ’l sonno.
Oh! più de l’alma mia caro a me stesso,
Tu rompi le mie paci,
Tu col tuo duol turbi i miei dì sereni.
Deh lascia i sette colli e qui ne vieni,
95Qui dove a le mordaci
Cure non è di penetrar concesso:
Che se ’l Ciel ti destina alte venture,
In queste selve oscure
Ben trovarti saprà: più d’Argo ei vede,
100E spesso innalza più chi men sel crede.
Voto il cor di speranza e di desio
Fra solinghe campagne
Il Pastorello Ebreo l’ore spendea;
E allor che in Orïente il dì nascea
105Usciva a pascer l’agne
Su la costa del monte, o lungo il rio;
Ed ei d’arpa gentile al suono intanto
Dolce snodava il canto,
E consacrava in mezzo agli antri ombrosi
110Al motor de le sfere inni festosi.
Ecco re di Sionne il Ciel l’elegge
In mezzo a le foreste,
E di sacro liquor l’unge il Profeta.
Oh! prudenza ineffabile e segreta
115De la mente celeste,
A le bell’opre tue chi può dar legge?
Cangiar la verga in scettro in un momento,
E di rettor d’armento
Farsi rettor d’eserciti e d’imperi?
120Così va: molto avrai se nulla speri.
PER UN REGALO DI MOSCATI E MALVAGIE
fattomi dal signor
DOMENICO MOLINO
Poichè mirar la maestà immortale
Del Celesta Motor Semele volse,
E che cinto di fiamme in sen l’accolse
Bacco ne la sua morte ebbe il natale.
5Ma per temprar de la materna arsura
Il concetto calor, nato a gran pena,
Schiera di Ninfe in solitaria arena.
Il divino fanciul presero in cura.
E quand’osar contra le sfere armarsi
10Spinti da insano ardir gl’empi Giganti,