Poesie scelte (Pontano)/La Quercia Sacra agli Dei

La Quercia Sacra agli Dei

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Giovanni Pontano - Poesie scelte (1874)
Traduzione dal latino di Pietro Ardito (1874)
La Quercia Sacra agli Dei
Pompa Prima Nenia prima


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La Quercia Sacra agli Dei.


Sacra ad un nume, se si crede al vate
È questa quercia che qui sorge intera,
E intatta resta da remota etate.3

Sott’essa con la Ninfa della Nera
Pane si stette, della bella Diva
Preso alla forma montanina e altera.6

Il Mènalo non più, non più gradiva
Il bel Liceo, e gli antri abbandonando
Grate dimore che il Parrasio offriva.9

Qui venne, dove il Vigia avvicinando
Le verdi sponde, di sue limpide acque
Il patrio suolo va tuttor bagnando.12

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E vide lei, che sì com’ella nacque
Gli estivi raggi incauta tra le chiare
Onde temprava, e d’amor vinto giacque.15

E già folle divien; da forti e amare
Saette è punto, e tanto fuoco accoglie
Che il suo petto in Vulcan cangiato pare.18

Indi all’irsuto collo ecco si toglie
La rustica zampogna, e un’amorosa
Boscherecchia canzone all’aura scioglie:21

«Ninfa, decor dei boschi, che vezzosa
Ti lavi al sacro fonte e a terger stai
Le belle membra all’onda chiara e ombrosa,24

Del candido ligustro tu ben hai
Più bianchi i bracci, e fin la neve alpina
Del tuo collo al candor vinci d’assai.27

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E quando di rossor la tua divina
Gota è suffusa, oh che bel misto adorno
Di bianco giglio e rosa porporina!30

E quegli occhietti che sì vivi attorno
Dolce tu muovi, e onde perduto io sono,
Dai lidi eòi traggono seco il giorno.33

Se dei cari labbruzzi avessi in dono
Un bacio, un bacio sol, saprei gli stessi
Ibla ed Imeto porre in abbandono.36

Oh le tue membra stringere potessi
Che van per l’onde cristalline, al mio
Seno le scalderei di ardenti amplessi!39

Deh non spregiare, o bella Ninfa, il dio,
Che in Arcadia ha suo culto, e tra i montani
Enotrii gioghi nuovo onor sortio!42

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Dio degli armenti il tengono i villani,
E di Nume l’onor gli han tutti dato
Fra selve e boschi gli altri dei silvani.45

Mugnere il latte, ed ho pur io insegnato
Come al colostro il caglio mescolarsi,
E poscia in cacio andasse arrotondato;48

E come il gregge ancor debba tosarsi,
Ed il vello che incolto si vedea
Tessere e in ricche vesti indi mutarsi.51

Con questi cari doni un dì vincea
La Luna, ed ella con amiche piante
Veniva al letto mio la bella Dea.54

Ve’ quanti pingui agnelli e che abbondante
Gregge nei prati, ed altre torme ancora
Che saltellan su l’erba: tutte e quante57

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Saran tuo dono, e questa che sinora
Non ho tocco zampogna, e che invidiata
Mi vien dai Numi cui l’Arcadia onora.60

Quanto l’han Clori e Lice sospirata!
E per la stessa che non fece mai
La vaga Filli agli altri amanti ingrata!63

Del tuo gregge le lodi e ancor potrai
Cantar con essa le tue proprie, e meco
Dolci concenti a modular verrai».66

Ella il Nume fuggendo che già seco
D’amor si strugge, tutta schiva e sola,
Sott’umil salcio dentro ignoto speco.69

Sprezzando i preghi rapida s’invola.
E che fare il meschin, qual gli rimane
Speme, o chi mai, chi l’egro cor consola?72

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Mentre le prove gli riescon vane,
Al disperato amor che già l’opprime
Propizio aiuto offre la sorte a Pane.75

Una quercia sorgea molto sublime
Carca di rami folti ed abbondanti,
Sacra la chioma nell’intatte cime.78

Si dice che qui spesso ancor grondanti
I Fauni d’acqua stessero a riposo,
E intrecciassero qui danze festanti.81

Quindi il loco è temuto, e un religioso
Culto a quel bosco tuttodì si presta,
E un fiume scorre in mezzo all’antro ombroso:84

Antro, cui fan di mille rami vesta
Verdi corimbi, e dove lor soggiorno
Si scelsero gli dei della foresta.87

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Ella qui venne dopo il mezzogiorno,
E stanca del cacciar si riposava
Sul molle suol che tutto oliva attorno.90

La stanchezza ed un rio che mormorava,
Il fresco rezzo e una leggiera auretta
Ad un dolce sopor la provocava.93

Qui per caso vien Pan con la diletta
Sua greggia all’ombra dove il vento spira,
E l’antro amico a penetrar si affretta.96

E già distesa sopra l’erba mira
La belle Ninfa, e nel segreto core
Gioie pregusta e fervido sospira.99

Indi pian piano senza far rumore
Tocca il sommo dell’erbe, in sè ristretto
Sì che suon o sospir non manda fuore.102

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Quando perviene nel remoto letto
Dell’alma Ninfa, pur di tema pieno
Qua e là le mani muove il lascivetto;105

Poi cingendo la viene, e il bianco seno
E le poppe discuovre, ed incurvando
Lenti i ginocchi sul molle terreno,108

Le molce il fianco, e liba a quando a quando
Le gote e il collo, e il seno le carezza
Che nudo tra gli amplessi ei va scaldando;111

E unisce bocca a bocca, e la dolcezza
Coglier si affretta, ed il fervente ardore
Della gioia fa pago nell’ebbrezza.114

Come desta dal sonno ella d’amore
Prigioniera si sente, ardita oppone
A schermo le sue vesti all’aggressore.117

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Ma quando nè preghiere nè tenzone
Dell’amante frenar ponno il desio,
Vinta si piega ed il timor depone.120

Giovò l’ardir, e facile si offrio
Quindi la Diva, che soventi al grato
Loco sen venne per godersi il dio.123

L’albero ai Numi fu dappoi sacrato,
E ne son mille effigie testimoni,
E l’antro che tuttor vedi colmato126

Devotamente di pietosi doni1.

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De Quercu diis sacra.


Haec vetus et multos quercus servata per annos,
Si fas est vati credere, numen habet.


Namque sub hac iacuit mistus Naretide Nympha
Pan, montanicolae captus amore deae.


Menalon ille suum, dilectaque rura Lycaei,
Parrhasiaeque procul liquerat antra domus.


Venerat huc virides stringit qua Vigia ripas,
Et patrium riguo perluit amne solum.

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Vidit eam liquidis dum se fovet inscia lymphis,
Et fessa aestivo membra calore levat.


Tum periit, saevaeque animum fixere sagittae,
Ussit et Aetnaeus pectora adesa calor.


Ac subito hirsuto demissa est fistula collo,
Et pastorali carmina voce sonat:


«Nympha decus nemorum, sacro quae fonte lavaris,
Candidaque in nitido flumine membra rigas,


Brachia sunt niveo tibi candidiora ligustro,
Collaque montana non minus alba nive,

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Purpureoque genas suffundens dia rubore
Tingis punicea lilia cana rosa.


Qui tibi sic lucent per quos ego perdor ocelli,
Nimirum eôi luminis instar habent.


Oscula si liceat teneris sumpsisse labellis,
Vilis Hymetos erit, vilis et Hybla mihi.


O si quae vitreis referunt se membra sub undis
Contigerim, o cupido membra fovenda sinu.


Nec tu sperne deum, cui servit Nonacris ora,
Cinctaque montanis Itala terra iugis.

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Pana deum pecoris cuncti venerantur agrestes,
Quique tenent alii rura nemusque dei.

Ipse ego lac docui distento ex ubere caprae
Exprimere, et fuso cana colostra sero.

Per me etiam tenero sunt mista coagula lacti,
Inclususque suo caseus orbe fuit.

Quin etiam tenuis lanae felicia texta,
Intonsa et docui carpere vellus ove.

His mihi muneribus superata est luna beatis,
Venit et in nostrum candida diva torum.


Aspice quam pingues agni, quam laetus in agro
Hoedus, et in molli luxurietur humo.

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Hi tibi munus erunt, longumque intacta per aevum
Fistula, Nonacriis invidiosa deis.


Pro qua quid non fecerunt Heliceque Lyceque,
Cylleneque aliis dura puella procis?


Hac tu cantabis laudes pecorisque tuasque,
Hac mecum dulceis experiere modos».


Illa deum fugiens humili sublapsa salicto
Delitet, et surda reiicit aure preces.


Quid faciat? qua spe miserum soletur amorem,
Infelix? quanam leniat arte malum?

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Omnia tentanti frustra, viresque paranti,
Obtulit optati casus amoris opem.


Quercus erat late patulis densissima ramis
Dives et intacto vertice sacra comam.


Fama manet, Faunos hic discubuisse madenteis
Saepius, et laetos hic agitasse choros,


Inde loco metus, ac longos venerata per annos
Sylva manet: medius praeterit antra liquor,


Antra racemiferis semper vestita corymbis,
Semper sylvicolis antra petita deis.

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Huc dea post aestus, venandi fessa labore,
Venerat, et molli lassa quierat humo.


Cui labor, et strepitus rivi salientis, et umbra,
Optatos somnos et levis aura facit.


Forte greges huc, umbra ut viridante levaret,
Ducit, et ipse cito Pan petit antra pede.


Ecce videt stratam cupidus per gramina Nymphen:
Constitit, et tacita gaudia mente rapit.


Mox sensim, summaque pedes suspendit in herba,
Et presso nullus redditur ore sonus.

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Ut tetigit niveae semota cubilia Nymphae,
Et timet, et faciles huc agit, hucque manus.


Subducit retegitque sinus, nudatque papillas,
Hinc genua in molli lenta recurvat humo;


Blanditur femori digitis, collumque genasque
Libat, et amplexu pectora nuda fovet;


Iungit et os ori, mox ad sua gaudia pergit,
Et sperata diu re sibi vota capit.


Illa ubi se captam dulci resoluta quiete
Sentit, ab apposita praelia veste movet.

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Verum ubi nec precibus, nec vi praemovit amantem,
Paulatim victa est, deposuitque metum.


Iuvit opus, facilemque deo dea praebuit: inde
Saepius ad gratum venit amica locum.


Hinc arbor sacrata diis: quod mille tabellae,
Antraque votivo munere culta docent.



Note

  1. Dai libri Amorum.