Poesie della contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi/In morte del celebre Andrea Pasta
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IN MORTE
DEL CELEBRE
Pianger cercai, non già del pianto onore.
Petrarca.
Ombra cara e diletta, Ombra, che forse
Qui spazj ancora, e intorno a me ti aggiri
Da quel tenero amor tratta, che spesso
Ti scorse a darmi ne’ miei mali aìta,
5Queste non isdegnar, che a te consacro
Afflitte note dal mio duol dettate.
Altri con franchi armonïosi modi
Sonar faranno le tue glorie, e mille
Di lauri eterni appenderan ghirlande
10A la tua tomba, su cui morte frema,
D’ira avvampando nel vedersi tolta
La tua parte più bella a fasti suoi.
Godranno essi ridir che tu fuggendo
Agi e piacer, giovine ancor sudasti
15Su dotte carte, e su le ascose fibre
Del corpo umano, e su le membra incise,
Tutti svelando de la medic’ arte,
Col taciturno meditar, gli arcani,
Onde i degni del cedro aurei volumi,
20Emulator del gran Vecchio di Coo,
Spirto immortal, del saper tuo spargesti.
Diran qual ampia da tuoi labbri uscìa
Nobil facondia, che qual aura dolce
L’atre nubi fugando, a l’alme oppresse
25Da funesti terror porgea ristoro;
Ne taceranno come tu scendendo
Da più alti pensier talor solevi
Di testuggin febea trattar le corde;
O come a te risero amiche anch’esse
30L’arti sorelle, che a le rozze tele
Spiran con dolce incanto, a’ bronzi, a’ marmi,
Vergognando natura, anima e moto.
Udran dolenti de’ tuoi dì sì cari
L’acerbo fato le contrade tutte
35D’Italia usate a ricercar soccorso
A te da lungi ancora, e de la Senna,
E de l’Istro l’udran meste le rive,
Ove già corse de’ tuoi merti il grido.
Ma il duol, che strazia a la tua Patria il core,
40È il tuo vanto maggior. Vedila starsi
Col crin sparso ed incolto appresso a l’urna,
Che il cener tuo rinserra, e in essa immoti
Tenendo i lumi, da cui largo piove
Inconsolabil pianto, odila ognora
45Di te ripeter singhiozzando il nome.
Lassa! Ella volge ognor ne’ pensier suoi
Quanto oprasti per lei, e mille, e mille
Suoi cari figli vede ancor serbati
Questa dolce a spirar aura di vita,
50Che già foran nud’ossa, e poca polve,
Se l’amica tua man non li toglieva
Di morte a l’empia inesorabìl falce.
Oh quante volte, allor ch’era ne l’ombre
Di fitta notte oscura il mondo involto,
55A’ mesti gridi che chiedean conforto
Troncasti il tuo riposo, e de le piogge
Sprezzator e de’ venti, ove il cammino
Ti additava pietà, che t’era al fianco,
Gli egri languenti ad alleviar corresti!
60Te i ricchi tetti, te gli alberghi umìli
Accolser spesso qual propizio nume,
E al tuo dolce apparir de’ morbi rei
Vider frangersi l’ire, e de la bella
Salute amica balenar la speme.
65Ed ancor forse l’odi, e forse ancora
La voce lamentevole ti fiede
Di chi privo di te langue, e te solo
Ne’ mali suoi, te va cercando invano.
Me stessa, oh Dio! col tuo fuggir lasciasti
70A timor mille in preda, e già mi sembra
Veder d’intorno infurïar la schiera
De’ crudeli malor, che sì spietata
Guerra mi fero, e de’ miei giorni forse,
Se tu non eri, avrian troncato il corso.
75Ah! perchè, lassa, a la tua tomba intorno
Pianger mi lice sol, nè intesser posso,
Quai vorrebbe il mio cuor, robusti carmi,
Che sien degni di te, carmi cui dato
Fosse anche a le più tarde età lontane
80Narrar quant’io ti amai, quant’io ti debbo,
Sicchè più bello ognor viva il tuo Nome
Del tempo vincitor, e de la morte.
Note
- ↑ [p. 232 modifica]Da questi teneri, e dolcissimi versi di Lesbia si può conoscere quali fossero i sentimenti dell’amicizia sua verso Andrea Pasta, che tanto recò di onore alla patria, all’arte sua, ed alle lettere. Quest’uomo veramente insigne fu giunto da morte, con duolo universale il giorno 13. marzo 1782.