Poesie della contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi/Di sua eccellenza don Baldassare Odescalchi
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DI SUA ECCELLENZA
DUCA DI CERI
TRA GLI ARCADI PALIDE LIDIO
A LESBIA CIDONIA
CANZONE1
Lesbo andò lieto un giorno
D’una gentil Donzella
Ch’oltre il costume bella
Non pur cogli occhi accese i cuori intorno;
Ma l’Apollinea cetra
Trattò con mano ardita,
E udìr la terra e l’etra
Del novo canto l’armonìa gradita;
La sua beltade e i carmi
Del tempo vinser l’empio dente e l’armi.
Pur un Garzon crudele
Alto piagolle il core
Nume spietato Amore,
Ond’ella sparse ognor vane querele;
Saffo nel tristo canto
Del suo Faon si dolse;
Ma coll’inutil pianto
Il cuor ferigno unqua a pietà non volse.
Il Mar Leucadio asconde
L’inutil cetra e il bei corpo nell’onde.
Gli antichi tristi esempj
Euterpe a che rammenti?
Vano è cercar portenti
Di beltà di valor ne’ prischi tempi;
Più delle gemme e l’auro
Oggi fra noi s’onora
Serto di verde lauro,
E al crin lo cinge il molle sesso ancora:
E tu Bergamo il sai
Che di Lesbia ne’ carmi eterno andrai.
Di Lesbia il dolce viso
Ne’ petti a mille a mille
Desta d’amor faville,
E il Ciel serena al lampeggiar d’un riso.
Non v’ha Faon sì crudo
Che a que’ possenti strali
Faccia or del petto scudo,
Ch’Ella piaga gli Dei non che i mortali;
E lieto benedice
Di Lesbia i ceppi il prigionier felice.
Lesbia le ardite penne
Spiegando a nobil volo
Alto poggiò dal suolo,
E di Pindo alle cime ardue pervenne;
Colà fra i sacri boschi
Dei sempre verdi allori
Sciolse i bei modi Toschi,
E delle Ninfe Ascree si aggiunse ai cori.
In l’Eliconio speco
Le sole rime su£ ripete or l’eco.
Gl’Itali Cigni eletti
Che d’Ippocrene in riva
All’armonìa giuliva
Della mente sposar gli alti concetti,
Volgon sorpresi il guardo
A Lei che alt’orme imprime,
E posa il piè non tardo
Sulle vietate spaventose cime,
Vincendo l’ardua impresa
Al più maschio valor spesso contesa.
Di Lesbia o dotti amici,
Cui fu dal Ciel concesso
Bearvi a Lei d’appresso,
E udendo i carmi suoi trar dì felici,
Invidiarvi io deggio,
Che in questa ingrata Terra
Splender da lunge io veggio
L’ingegno ond’Ella al tempo rio fa guerra,
Odo i suoi detti e i versi;
Ma vietan ch’io la vegga i fati avversi.
Se il tuo gran cor ti guida
Donna in lontane parti
L’opre a mirar dell’Arti
Cui l’onor degli Eroi virtude affida;
Prima ti volgi a Roma
Che fra le sue ruine
Distrutta sì, non doma
Primeggia ancor fra le città reine,
E le dovizie altrui
Oscura allo splendor de’ pregi sui.
Qui la superba fronte
Sollevan moli altere
Che al tardo passeggiare
Del vinto mondo ancor ricordali l’onte.
Qui sull’immobil Trono
Religïone augusta
Sparge di Fede il dono
Dal Baltico alla nera Affrica adusta,
E la possente destra
Distende ai figli suoi donna e maestra.
Della serena pace
Il volto ognor qui ride,
E ai sacri ingegni arride,
Nè turba gli ozj lor di Marie face.
Qui le tranquille Muse
Sciolgon soavi i canti,
Natura qui dischiuse
A mille saggi i suoi celati incanti.
Sola tu Roma or serbi
Premio a Virtù ne’ tristi giorni acerbi.