Poesie (Parini)/V. Terzine/V. La maschera

V. La maschera

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V

LA MASCHERA

     Lascia gracchiare a questi baciapile
che voglion pur che il mascherarsi sia
una cosaccia disonesta e vile.
     Questo per me cred’io che bene stia
5a laici, a preti, a monache ed a frati,
e finalmente a chiunque si sia.
     Lasciamo star che l’andar mascherati
non offende né il ciel, né la natura,
come voglion gl’ipocriti sciaurati.
     10Non ci fu diva si innocente e pura,
o nume del celeste concistoro
che non volesse un di mutar figura.
     Nel dolce tempo dell’etá dell’oro,
leggete Publio Ovidio sulmonese,
15chi si vestia da vacca e chi da toro.
     Comuni avean e letto e mensa e spese
sotto una quercia un dio e un mortale
in que’ bei giorni ch’eran lunghi un mese.
     Quel secol, se non era affatto eguale,
20nella comunione almen dei beni
si somigliava al nostro carnevale.
     E in que’ bei di, che sempre eran sereni,
comparien fuora certe mascherate
che non fúr mai spettacoli piú ameni.
     25Forse ch’eran di queste fagiolate
che nulla non significan alfine,
e ch’ora piaccion tanto alle brigate?

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     Egli eran quelle maschere divine
si fatte, che coprivan al di drente
30cose misteriose e pellegrine.
     Vestivansi talvolta in un momento
da animali di si varia schiatta
che capir non potrieno in un convento.
     Vedete se la gente era ben matta,
35che fino a Diana vergine beghina
si trasformò una volta in una gatta.
     E il dio barbato della medicina,
ch’era un dottor dabben, comparve fuore
mascherato da bestia una mattina.
     40Deh come il mondo ognor cangia tenore!
Giá i dottor si vestieno da animali;
e gli animali or veston da dottore.
     Ma il padre Giove d’abiti cotali
sempre piú ch’altri mai ebbe diletto
45e ogni di mutava piviali.
     Un giorno di torel prese l’aspetto
per ire a visitar certa donzella,
figlia d’un re che Agenore era detto.
     Egli avea lunga coda e gamba snella,
50e una coppia di corna in sulla testa,
ch’altro dio non portò mai la piú bella.
     Trovossl anco una volta ad una festa
immascherato ad un modo piú strano;
da becco egli s’avea messo la vesta:
     55e vuole un certo autor greco o romano
che madonna Giunon, ch’era sua moglie,
il vestisse quel di di propria mano.
     Talor parti dalle celesti soglie
travestito da cigno, ch’è un uccello
60che lungo il collo ed ha bianche le spoglie:
     ma cosí andando a zonzo in sul piú bello
fu spennacchiato da una certa Leda
che ne lo mandò via senza mantello.

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     Io non voglio però ch’altri si creda
65ch’ei d’animale ognor vestisse a foggia,
qual par che dappertutto oggi si veda.
     Ser Giove avea de’ bei trovati a moggia.
Forse falso parrá quel eli’ io vi narro;
ma egli un di si mascherò da pioggia.
     70Di pioggia d’oro ei fecesi un tabarro.
Questo vestito mal si potria dire
quanto sembrasse altrui novo e bizzarro.
     Bastivi ’l dir che la figlia d’un sire,
Danae nominata, il vide appena,
75che se ne volle anch’essa ricoprire.
     Mal fu per un che, mentre si dimena
astratto per comporre una canzone,
fecevi un sette a punto ne la schiena.
     Per che Giove gli disse: — O mascalzone,
80non vedi tu che fai? Or ora impara
a starti un po’ lontan dalle persone.
     Poiché tu guasto m’hai cosa si cara
ad ogni donna, a voi, vati dappoco,
sia sempre la fortuna d’oro avara:
     85e se per caso ne avanzaste un poco
con istento e sudor, venga e vel toglia
la crapula, l’amore, i ladri o il gioco. —
     Né la reina Giano ebbe men voglia
di quella che s’avesse il suo marito
90di mascherarsi con diversa spoglia.
     Ella comparve un giorno a un convito:
e certe nuvolette trasparenti
avevanle formato un bel vestito.
     Colla forza de’ suoi raggi lucenti
95il sol questo bel drappo avea formato;
e sartor n’era stato il dio de’ venti.
     Il quale abito altrui tanto fu grato
che fu per farle un atto indegno e crudo
un certo che Issione era chiamato.

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100Ma si difese dal furor del drudo
Giunon con quella nuvula leggera:
or mirate che diavolo di scudo!
Mascherossi da vecchia anco una sera,
lo che fu giudicato una gran cosa
105per una donna come Giunon era.
Qui nel margin però dice una chiosa
che da forte ragion fu a ciò costretta;
e fu che del marito era gelosa.
Ma l’olio ormai e l’opera si getta
110seguitando a provar pur, che a nessuno
la maschera non debbe esser disdetta.
Se la maschera piace a Giove, a Giuno
e a tutti gli altri dèi, lascia gracchiare
chi a pancia piena predica il digiuno,
115e seguitianci pure a mascherare.