Aprasi Mongibello e del fond’esca
Pluton col carro, e con rabbia e rapina
rinnovi al suon Proserpina la tresca!
E quel tirato poi con gran ruina
da Folo e da Chiron, da Caco e Nesso,
centaüri mostruosi, e te meschina,
per l’adultèro infame c’hai comesso,
su collocata sia dalla man destra,
e ’l cherico mal raso a te sia presso,
e chi consiglio diè dalla sinestra
con la moneta in man che ricevette
per arra, in ritenerti alla finestra,
né dal mal si rimosse e mai ristette,
ché ti condusse a quelle consagrate
membra di castità e virtù nette.
Onde, perché me’ siate acompagnate,
vengan tre furie della grande schiera,
colle qua’ sempre in continüa andiate:
la prima Tesifòn, l’altra Megera,
la terza Aleto, e fiaccole di foco
portin per onorarvi e far lumera,
e presto vi trasportin dentro al loco
che custodisce Cerbero e Anteo,
a cui più nuocer possa assai né poco!
Ch’Ercole greco, né ’l figliuol d’Egeo,
o qualunque per voi pugnar volesse
tal facci a lor ch’a Peritoo già féo!
el quale, innanzi che punto ristesse,
divorollo sì tutto e inghiottillo,
perché mai più qua giù si rivedesse.
E Teseo, che vi fu, sapre’ ben dillo,
vicino essendo a simigliante sorte,
se non ch’Ercule buon da lui partillo.
E s’alcun pur s’apressasse alle porte,
venga Medusa e faccialo di smalto,
acciò ch’alle percosse sia più forte!
E giunti dentro nel primiero assalto,
v’apresenti a Minos, giudice degno,
el qual per dar sentenza siede in alto.
Lui solo invoco, e priego del suo regno
a te giovane bella facci parte
tra ’l primo e ’l terzo suo cerchiato segno,
dove molte vedrai anime sparte,
compatrïote tue libidinose,
che di Vener seguîr stagione ed arte,
e furon sanza tema furïose
per conseguir loro insaziabil gusto,
onde le fiamme lor non son nascose.
O sommo Redentor, quanto se’ giusto,
ché compensi i misfatti con la pena
e purghi con giustizia ognuno ingiusto!
Vedra’vi quella che la danza mena,
qual è Semiramìs, la scelerata,
che giacque col figliuol viziosa e piena.
Costei, per non restar vituperata,
compose legge (e) che lecito fosse
d’usar con ciascheduno ogni fïata.
Onde poi Mirra la sua balia indusse
a far che ’l padre con essa dormisse
con dimostrarli ch’altra donna fosse.
Cinira ignaro quanto maladisse
poi sua fortuna, conosciuto quello,
sì che per Mirra sua poco poi visse!
Sfrenata voluttà d’ambo due quelle
a ciò sì le condusse, e sanza avere
riguardo all’onor lor, le mischinelle.
Silla, di Niso figlia, puoi vedere
trar patti con Minos e darli vinta
la pugna, per indurlo al suo volere;
e da calda lussuria poi sospinta,
dormendo il padre, gli tagliò la testa
e mandolla a Minos, di sangue tinta.
Dispiacque a lui la crudeltà di questa
e partissi da campo dalla terra,
lasciando lei sconsolata e mesta.
Ancor vedrai, se ’l nostro dir non erra,
Pasife, ch’è reina incoronata,
e con bramosa voglia il toro aferra,
e Cleopatra, che tanto sfrenata
trascorrea drieto a Cesar per lussuria,
vigile e desta, a ciò sempre parata.
Didon vedrai, che con empeto e furia
el bianco petto per Enea passando,
sé privando di vita e farsi ingiuria,
e Dïanira ancor, che dette bando
a Ercole di vita, per sospetto
di Iole, che l’avea al suo comando.
Saravi quella che con falso effetto
Ioseph a torto accusò al suo marito,
perch’adempier non volle il suo concetto,
e Deidamia che con coperto invito
indusse Achille a fare ogni sua voglia,
per cui s’uccise, essendosi partito.
Il fallo d’Adrïana ivi germoglia,
che fece a Fedra, sua carnal sorella,
togliendo il suo Teseo per dargli doglia;
né fu contenta al primo fallo quella,
che d’Ipolito presto innamorò
e ruppe a Teseo fé, la ribaldella.
Ero conoscerai, per cui notò
Leandro in mar più volte con fatica,
e come infin per lei mal capitò.
E Taide, di Sanson crudel nimica,
mostrando amarlo, in grembo mozzò i crini,
sì che a morte il condusse, esta mendica.
Penelope ancor par s’indovini
che Ulisse di nuovo le sia tolto,
perché Circe bestemmia e’ suoi vicini.
E Medea vi vedrai con crudo volto,
ch’uccise a torto l’uno e l’altro figlio,
perché Gianson la lasciò presto molto;
Griselda a Dïomede il lieto ciglio
dimostrò poi, e Troiol l’ebbe a sdegno,
sì che fé del suo sangue il pian vermiglio;
Erifil, ch’Anfiarao privò del regno,
faccendol manifesto a chi ’l condusse
là dove il terren suo sen fece pregno.
E che da Bersabè legato fosse
Davit profeta aperto puoi sapere
com’oltre a lei a peggio si ridusse.
E quella sciagurata puoi vedere
ch’Aristotil cavalca per istrazio,
sanza riguardo o riverenza avere.
Insieme con costoro en questo spazio
è il sesso femminil dell’Amazzòne,
che del suo masculin tosto fu sazio;
e l’isola di Lenno ancor qui pone
tutte le sue, che fùr si furïose
a dare a’ maschi loro tal lesione.
Vedrai seder tra lor libidinose
la superba Iunone, e far vendetta
di chi porse parole ingiurïose,
cioè Tiresia, ch’al ver dir s’assetta,
perché provò quanto libido in esse
più che negli uomin sia, possa e aletta;
onde, gravato, esta sentenzia d’esse
la pronunziò, perché ben conoscea
come ’l vil sesso in ciò sette anni resse.
E Iove, perché lume e’ non vedea,
lo ristorò con far mirabil grazia
che le future cose antivedea.
Di racontar dell’altre non si sazia
la mente mia, le qua’ sono infinite,
perché ’l fuoco infernal divampa e strazia.
Ma poi bisogna alla città di Dite
posar tua compagnia, i’ porrò fine
a molte storie che non hai sentite.
E tu qui rimarrai colle tapine
soprascritte a purgare il tuo peccato
tra le gran fiamme e misere ruine,
lasciando il prete tuo con mal comiato.