Poesie (Fantoni)/Scherzi/XXVI. Per la malattia della signora M....
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XXVI
Per la malattia
della signora M. P. F.
Premea d’Apolline
nel flutto ondoso
le ruote fervide
pigro riposo,
5e giá scorrevano
l’ombre tacenti
i navigabili
spazi dei venti.
La notte, in orrido
10dolente velo,
spiegava i taciti
suoi vanni in cielo;
cinta di folgori
e sanguinose
15comete sirie,
terror di spose.
I morbi pallidi,
chini su l’ali,
stanchi pendevano
20sovra i mortali.
Scuoteano i turbini
lo stuol disperso
de’ morbi e i cardini
dell’universo.
25In terra caddero
l’atro-moleste
febbri, e la gelida
tisi e la peste
inevitabile
30anche sui scanni
d’oro ai purpurei
d’Asia tiranni.
Chiudea, sui candidi
lini oziosi,
35l’Oblio di Fillide
gli occhi amorosi.
Mute le languide
figlie del giorno,
vezzose imagini
40l’erran d’intorno.
Di bruno duplice
manto vestita,
la febbre squallida,
angui-crinita,
45confusa ascondesi
fra il multiforme
stuolo, conducesi
da lei che dorme.
Un angue spiccasi
50dal capo, e in seno
le sparge frigido
mortal veleno.
Da quella barbara
notte d’orrore
55le guancie le occupa
freddo pallore.
Il labbro tumido
il dolor ange:
l’arcier di Venere
60lo vede e piange.
Ove regnavano
baci e sicure
gioie, vi regnano
crude punture.
65Le luci amabili
non piú vivaci
ridon, ma sembrano
languide faci
presso ad estinguersi,
70o stelle in cielo,
che a pena veggonsi
tra denso velo.
Non piú le nivee
e turgidette
75sue poma, ai ciprii
misteri elette,
il seno aggravano
rotonde, intatte;
piú non albeggiano
80di vivo latte.
Numi dell’etere,
non mi rapite
Fille; e tu, livido
del sordo Dite
85nocchier, ripòsati
sul pigro remo
inesorabile
al guado estremo.
Non mancan vittime
90al truce Averno,
che prema Minoe
d’esilio eterno.
E anch’io so scendere
u’ Radamanto
95i tristi giudica
regni del pianto.
Qual vate ismario.
vo’ ch’Euridice
la lira rendami
100eternatrice.
Ma voi, che placidi
in ciel sedete,
al duol che m’agita
non vi muovete?
105Dunque... rispettino
l’inferno e l’etra
nella mia Fillide
la nostra cetra.