Poesie (Fantoni)/Odi/Libro II/XLVIII. All'Italia
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XLVIII
All’Italia
(1797)
Invan ti lagni del perduto onore,
Italia mia, di mille affanni gravida:
tu fosti invitta, fin che il tuo valore
e le antiche virtú serbasti impavida.
5Non te il forte domò Pirro vagante,
ché l’alta ti coprì sorte romulea,
non il feroce Allobroge incostante,
non la truce Germania occhicerulea.
Non quei, per cui sempre famosa andranne
10l’alta Cartago, anche ridotta in cenere,
che, dalle madri abominato, a Canne
rider fe’ Giuno e lacrimar fe’ Venere.
Spinte a tuo danno dai negletti numi,
barbare torme poi dall’Alpi scesero,
15e, i talami macchiando ed i costumi,
piú fecondi di colpe i tempi resero.
Or druda e serva di straniere genti,
raccorcio il crin, breve la gonna, il femore
su le piume adagiato, i dì languenti
20passi oziosa e di tua gloria immemore.
Alle mense, alle danze i figli tuoi
ti seguon sconsigliati, e il nostro orgoglio
piú non osa vantar duci ed eroi,
che i spiranti nel marmo in Campidoglio.
25Mentre del mar t’invola Anglia l’impero,
Gallia di servitú calpesta il laccio
e ti usurpa i trionfi il Russo altero:
ebria tu dormi ai tuoi nemici in braccio.
La verginella dal materno esempio
30lascivia apprende, e, all’oro e al lusso dedita,
dal mal chiuso balcone o in mezzo al tempio
notturni furti, sogghignando, medita.
S’appressa all’ara e, mal trascorso un anno,
arde non sazia di desio colpevole,
35e il nostro disonor compra il Britanno,
mentre dorme lo sposo consapevole.
Sorge ei dal letto a questi insulti avvezzo
e turpi onori inonorato mendica,
della vergogna sua divide il prezzo
40e con baci comprati i torti vendica.
Languono i figli disprezzati, intanto,
privi di pane, di soccorso e d’utili
precetti, e ai vizi e alla miseria accanto
vivono agli altri ed a se stessi inutili.
45Schiatta sí vil di padri infami Roma
non tolse a Brenno, non sprezzò le furie
del peno duce, né alla terra doma
vittrice apprese a non soffrir le ingiurie.
Questo dei salli un dí, questo è il tuo scudo:
50mirati, Italia, e cangia omai consiglio.
Cinta di mirto, profumata, ignudo
il petto... eh, abbassa vergognosa il ciglio!
Squarcia le vesti dell’obbrobrio; al crine
l’elmo riponi, al sen l’usbergo; destati
55dal lungo sonno e su le vette alpine
alla difesa ed ai trionfi apprèstati.
Se il mar, se il monte, che ti parte e serra,
vano fia schermo a un vincitor terribile,
serba la tomba nell’esperia terra
60all’audace stranier fato invincibile.