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libro secondo | 163 |
XLVIII
All’Italia
(1797)
Invan ti lagni del perduto onore,
Italia mia, di mille affanni gravida:
tu fosti invitta, fin che il tuo valore
e le antiche virtú serbasti impavida.
5Non te il forte domò Pirro vagante,
ché l’alta ti coprì sorte romulea,
non il feroce Allobroge incostante,
non la truce Germania occhicerulea.
Non quei, per cui sempre famosa andranne
10l’alta Cartago, anche ridotta in cenere,
che, dalle madri abominato, a Canne
rider fe’ Giuno e lacrimar fe’ Venere.
Spinte a tuo danno dai negletti numi,
barbare torme poi dall’Alpi scesero,
15e, i talami macchiando ed i costumi,
piú fecondi di colpe i tempi resero.
Or druda e serva di straniere genti,
raccorcio il crin, breve la gonna, il femore
su le piume adagiato, i dì languenti
20passi oziosa e di tua gloria immemore.
Alle mense, alle danze i figli tuoi
ti seguon sconsigliati, e il nostro orgoglio
piú non osa vantar duci ed eroi,
che i spiranti nel marmo in Campidoglio.
25Mentre del mar t’invola Anglia l’impero,
Gallia di servitú calpesta il laccio
e ti usurpa i trionfi il Russo altero:
ebria tu dormi ai tuoi nemici in braccio.