Poemi conviviali/Solon
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tempio senza votivo oro di doni;
chè questo è bello: attendere al cantore
4che nella voce ha l’eco dell’Ignoto.
Oh! nulla, io dico, è bello più, che udire
un buon cantore, placidi, seduti
l’un presso l’altro, avanti mense piene
8di pani biondi e di fumanti carni
mentre il fanciullo dal cratere attinge
vino, e lo porta e versa nelle coppe;
e dire in tanto grazïosi detti,
12mentre la cetra inalza il suo sacro inno;
o dell’auleta querulo, che piange,
godere, poi che ti si muta in cuore
il suo dolore in tua felicità.
16— Solon, dicesti un giorno tu: Beato
chi ama, chi cavalli ha solidunghi,
cani da preda, un ospite lontano.
Ora te nè lontano ospite giova
20nè, già vecchio, i bei cani nè cavalli
di solid’unghia, nè l’amore, o savio.
Te la coppa ora giova: ora tu lodi
più vecchio il vino e più novello il canto.
24E novelle al Pireo, con la bonaccia
prima e co’ primi stormi, due canzoni
oltremarine giunsero. Le reca
una donna d’Eresso — Apri: rispose;
28alla rondine, o Phoco, apri la porta —
Erano le Anthesterïe: s’apriva
il fumeo doglio e si saggiava il vino.
Entrò, col lume della primavera
32e con l’alito salso dell’Egeo,
la cantatrice. Ella sapea due canti:
l’uno, d’amore, l’altro era di morte.
Entrò pensosa; e Phoco le porgeva
36uno sgabello d’auree borchie ornato
ed una coppa. Ella sedè, reggendo
la risonante pèctide; ne strinse
tacita intorno ai còllabi le corde;
40tentò le corde fremebonde, e disse:
Splende al plenilunïo l’orto; il melo
trema appena d’un tremolio d’argento...
Nei lontani monti color di cielo
44sibila il vento.
Mugghia il vento, strepita tra le forre,
su le quercie gettasi... Il mio non sembra
che un tremore, ma è l’amore, e corre,
48spossa le membra!
M’è lontano dalle ricciute chiome,
quanto il sole; sì, ma mi giunge al cuore,
come il sole: bello, ma bello come
52sole che muore.
Dileguare! e altro non voglio: voglio
farmi chiarità che da lui si effonda.
Scoglio estremo della gran luce, scoglio
56su la grande onda,
dolce è da te scendere dove è pace:
scende il sole nell’infinito mare;
trema e scende la chiarità seguace
60crepuscolare.
La Morte è questa! il vecchio esclamò. Questo,
ella rispose, è, ospite, l’Amore.
Tentò le corde fremebonde, e disse:
64Togli il pianto. È colpa! Sei del poeta
nella casa, tu. Chi dirà che fui?
Piangi il morto atleta: beltà d’atleta
muore con lui.
68Muore la virtù dell’eroe che il cocchio
spinge urlando tra le nemiche schiere;
muore il seno, sì, di Rhodòpi, l’occhio
del timoniere;
72ma non muore il canto che tra il tintinno
della pèctide apre il candor dell’ale.
E il poeta fin che non muoia l’inno,
vive, immortale,
76poi che l’inno (diano le rosee dita
pace al peplo, a noi non s’addice il lutto)
è la nostra forza e beltà, la vita,
l’anima, tutto.
80E chi voglia me rivedere, tocchi
queste corde, canti un mio canto: in quella,
tutta rose rimireranno gli occhi
Saffo la bella.
84Questo era il canto della Morte; e il vecchio
Solon qui disse: Ch’io l’impari, e muoia.