Poemi conviviali/Il sonno di Odisseo
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IL SONNO DI ODISSEO
Per nove giorni, e notte e dì, la nave
nera filò, ché la portava il vento
e il timoniere, e ne reggeva accorta
la grande mano d’Odisseo le scotte;
né, lasso, ad altri le cedea, ché verso
la cara patria lo portava il vento.
Per nove giorni, e notte e dì, la nera
nave filò, né l’occhio mai distolse
l’eroe, cercando l’isola rupestre
tra il cilestrino tremolìo del mare;
pago se prima di morir vedesse
balzarne in aria i vortici del fumo.
Nel decimo, là dove era vanito
il nono sole in un barbaglio d’oro,
ora gli apparse non sapea che nero:
nuvola o terra? E gli balenò vinto
dall’alba dolce il grave occhio: e lontano
s’immerse il cuore d’Odisseo nel sonno.
E venne incontro al volo della nave,
ecco, una terra, e veleggiava azzurra
tra il cilestrino tremolìo del mare;
e con un monte ella prendea del cielo,
e giù dal monte spumeggiando i botri
scendean tra i ciuffi dell’irsute stipe;
e ne’ suoi poggi apparvero i filari
lunghi di viti, ed a’ suoi piedi i campi
vellosi della nuova erba del grano:
e tutta apparve un’isola rupestre,
dura, non buona a pascere polledri,
ma sì di capre e sì di buoi nutrice:
e qua e là sopra gli aerei picchi
morian nel chiaro dell’aurora i fuochi
de’ mandrïani; e qua e là sbalzava
il mattutino vortice del fumo,
d’Itaca, alfine: ma non già lo vide
notando il cuore d’Odisseo nel sonno.
Ed ecco a prua dell’incavata nave
volar parole, simili ad uccelli,
con fuggevoli sibili. La nave
radeva allora il picco alto del Corvo
e il ben cerchiato fonte; e se n’udiva
un grufolare fragile di verri;
ed ampio un chiuso si scorgea, di grandi
massi ricinto ed assiepato intorno
di salvatico pero e di prunalbo;
ed il divino mandrïan dei verri,
presso la spiaggia, della nera scorza
spogliava con l’aguzza ascia un querciolo
e grandi pali a rinforzare il chiuso
poi ne tagliò coi morsi aspri dell’ascia;
e sì e no tra lo sciacquìo dell’onde
giungeva al mare il roco ansar dei colpi,
d’Eumeo fedele: ma non già li udiva
tuffato il cuore d’Odisseo nel sonno.
E già da prua, sopra la nave, a poppa,
simili a freccie, andavano parole
con fuggevoli fremiti. La nave
era di faccia al porto di Forkyne;
e in capo ad esso si vedea l’olivo,
grande, fronzuto, e presso quello un antro:
l’antro d’affaccendate api sonoro,
quando in crateri ed anfore di pietra
filano la soave opra del miele:
e si scorgeva la sassosa strada
della città: si distinguea, tra il verde
d’acquosi ontani, la fontana bianca
e l’ara bianca, ed una eccelsa casa:
l’eccelsa casa d’Odisseo: già forse
stridea la spola fra la trama, e sotto
le stanche dita ricrescea la tela,
ampia, immortale... Oh! non udì né vide
perduto il cuore d’Odisseo nel sonno.
E su la nave, nell’entrare il porto,
il peggio vinse: sciolsero i compagni
gli otri, e la furia ne fischiò dei venti:
la vela si svoltò, si sbatté, come
peplo, cui donna abbandonò disteso
ad inasprire sopra aereo picco:
ecco, e la nave lontanò dal porto;
e un giovinetto stava già nel porto,
poggiato all’asta dalla bronzea punta:
e il giovinetto sotto il glauco olivo
stava pensoso; ed un veloce cane
correva intorno a lui scodinzolando:
e il cane dalle volte irrequïete
sostò, con gli occhi all’infinito mare;
e com’ebbe le salse orme fiutate,
ululò dietro la fuggente nave:
Argo, il suo cane: ma non già l’udiva
tuffato il cuore d’Odisseo nel sonno.
E la nave radeva ora una punta
d’Itaca scabra. E tra due poggi un campo
era, ben culto; il campo di Laerte;
del vecchio re; col fertile pometo;
coi peri e meli che Laerte aveva
donati al figlio tuttavia fanciullo;
ché lo seguiva per la vigna, e questo
chiedeva degli snelli alberi e quello:
tredici peri e dieci meli in fila
stavano, bianchi della lor fiorita:
all’ombra d’uno, all’ombra del più bianco,
era un vecchio, poggiato su la marra:
il vecchio, volto all’infinito mare
dove mugghiava il subito tumulto,
limando ai faticati occhi la luce,
riguardò dietro la fuggente nave:
era suo padre: ma non già lo vide
notando il cuore d’Odisseo nel sonno.
Ed i venti portarono la nave
nera più lungi. E subito aprì gli occhi
l’eroe, rapidi aprì gli occhi a vedere
sbalzar dalla sognata Itaca il fumo;
e scoprir forse il fido Eumeo nel chiuso
ben cinto, e forse il padre suo nel campo
ben culto: il padre che sopra la marra
appoggiato guardasse la sua nave;
e forse il figlio che poggiato all’asta
la sua nave guardasse: e lo seguiva,
certo, e intorno correa scodinzolando
Argo, il suo cane; e forse la sua casa,
la dolce casa ove la fida moglie
già percorreva il garrulo telaio:
guardò: ma vide non sapea che nero
fuggire per il violaceo mare,
nuvola o terra? e dileguar lontano,
emerso il cuore d’Odisseo dal sonno.