Piccoli eroi/La famiglia Morandi

La famiglia Morandi

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Gli esami

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LA FAMIGLIA MORANDI.

Appena il signor Morandi potè riaversi dal colpo provato per la morte della moglie, sentì una stretta al cuore pensando al suo impiego, che lo teneva fuori di casa tutto il giorno, e ai suoi sei figliuoli ancora giovanetti, dei quali bisognava occuparsi.

— Come posso fare? — disse con accento straziante, tenendosi la fronte colle mani in atto disperato. — Non so più dove dare del capo!

Maria, una bella fanciulla di diciassette anni, colla faccia di madonnina e gli occhi espressivi, gli si avvicinò e mettendogli le braccia intorno al collo disse:

— Babbo, tu pensa al tuo ufficio; ai ragazzi penserò io. [p. 2 modifica]

Il signor Morandi la guardò in faccia per accertarsi se dicesse da vero, ed esclamò:

— Che cosa puoi far tu che sei quasi una bimba? Se almeno tutti i ragazzi fossero d’indole docile come Vittorio e Giannina, ma gli altri tre.... Oh la sarebbe una cosa superiore alle tue forze!

— Senti, babbo, — riprese Maria. — Lo so, di mamme non ce n’è che una, ed è impossibile poterla supplire, ma quello che potrebbe fare un’altra persona, ti prometto di farlo io; chè infine i miei fratelli li conosco da tanto tempo e gli voglio bene.

— È vero, sei una donnina, ma tanto giovane che non puoi sapere quello che ci vuole a condurre una casa come la nostra.

— Mi farò vecchia, sono così seria che tutti mi danno molti anni di più; vedrai, babbo, che resterai contento.

— Non pensi che dovrai sacrificare la tua gioventù in un ufficio ingrato?

— Faccio qualunque sacrifizio piuttosto che veder un’altra persona far le veci della mamma, mi ci metto con tutta la buona volontà e ti prometto di fare il possibile affinchè tu possa stare tranquillo.

— E sia! — disse il signor Morandi dando un sospirone di sollievo e alzandosi per [p. 3 modifica]nascondere la sua commozione; poi prese fra le mani la testolina bruna della figlia e la baciò dicendole:

— Dio t’aiuti e faccia sì che non t’abbia mai a pentire dell’incarico che ti sei preso! — Poi chiamò gli altri figliuoli e disse loro accennando a Maria: — Questa sarà la vostra mammina, mi raccomando, siate buoni e non la fate troppo inquietare.

Ecco come Maria si trovò a diciassette anni al governo della casa, coll’obbligo di dover pensare a cinque figliuoli irrequieti.

Non era ancora uscito suo padre, che Maria ebbe timore d’aver presunto troppo delle sue forze; dei suoi fratelli, Carlo, il maggiore, era insubordinato, Elisa piena di pretensioni, come se fosse una principessa, Vittorio studioso ma disordinato, Mario vivace ed irrequieto e la sola Giannina docile e buona; e mentre si sentiva disposta a dar loro dei consigli e ad aiutarli negli studii, come avea sempre fatto, le dava pensiero il fare da massaia. Quell’ufficio non era il suo ideale, non sapeva nemmeno da che parte incominciare, specialmente con una famiglia tanto numerosa, colle poche rendite di cui poteva disporre e in una città dispendiosa come Milano.

Il padre era impiegato alla ferrovia, aveva un discreto impiego, ma per mantenere tutta la [p. 4 modifica]famiglia con un certo decoro bisognava fare miracoli di economia, come avea sempre fatto la signora Morandi.

Da principio Maria continuò collo stesso sistema della mamma, e si arrovellava il cervello a far conti per venirne a capo coi quattrini che le dava il babbo.

Il suo sogno era di poter a furia di abilità e di economia far godere alla famiglia una vita agiata, ed il suo scopo, veder bene avviati i ragazzi.

Essa avea fatto in cuor suo intera rinuncia dei suoi desiderii e delle sue aspirazioni, per consacrarsi interamente al benessere della famiglia.

La mattina s’alzava prima di tutti, e dopo aver dato ai fratelli una bella ciotola di latte, li mandava a scuola mettendo nel loro paniere qualche cosa per la merenda, affinchè potessero aspettare tranquillamente l’ora del pranzo.

Eppure per quel po’ di merenda bisognava vedere come la facevano stizzire!

Elisa era spesso imbronciata di dover portare soltanto pane e burro o un po’ di cacio, mentre molte compagne avevano nel paniere prosciutto, arrosto, biscotto ed altre leccornie; a Carlo non bastava mai nulla, avrebbe voluto una porzione da lupo. Mario invece, nella sua sbadataggine, [p. 5 modifica]era capace di dimenticare a casa la merenda; meno male che Vittorio era sempre contento e Giannina divideva spesso il suo companatico colle compagne che portavano alla scuola pane solo.

Spesso a Maria venivano le lagrime agli occhi per la sua impotenza a tener tranquilli i ragazzi, per l’impossibilità di vederli contenti; però al babbo non diceva nulla per non tormentarlo, egli avea già abbastanza pensieri pel capo; ed essa tenea tutto dentro di sè, ma qualche volta non ne poteva più e si sentiva affranta e scoraggiata.

Godeva un po’ di tranquillità sol quando i fratellini erano alla scuola; allora si sedeva a rattoppare i loro vestiti, a rammendare la biancheria, faceva calcoli colla sua testolina per vedere di fare delle economie, sempre preoccupata del loro benessere.

Uno dei pensieri che rallegrava le sue ore di solitudine era di poter condurre in campagna i fratelli a passar le vacanze. Era una sorpresa che preparava loro fra pochi giorni, un sogno che stava sul punto di realizzare.

Parecchi anni prima, un vecchio zio avea lasciato loro in eredità un casolare di campagna presso il villaggio di M....

Era modestissimo e composto in tutto di sette [p. 6 modifica]stanze con davanti un pezzo di terra circondato da un muricciuolo. Non vi avevano mai abitato, perchè colla mamma, spesso ammalata, quella casa mancava di comodità ed era tanto lontana dal villaggio, che prima di poter aver medico e medicine c’era tempo di morire.

Il signor Morandi non avea potuto trovare nè da venderla nè d’affittarla, e la teneva come una cosa inutile, finchè fossero venuti tempi migliori da poterla riattare, oppure da trovare un compratore.

Maria sapeva di quella casetta, e dandole pensiero avere in città, nel tempo delle vacanze, quei cinque diavoletti, volle andare a vedere se c’era la possibilità di poterla abitare, e parlò di questo suo disegno al babbo.

— Chissà quante spese bisognerà fare per abitarla! — egli rispose. — Credo che sia un sogno.

Maria fece una corsa fuori di città un giorno che i ragazzi erano a scuola, e trovò che la casetta era abitabile: semplice, con pochi mobili, di forme antiquate, non eleganti, ma non vi mancava nulla di quello che era strettamente necessario; la sola spesa sarebbe stata di dare una mano di bianco alla cucina. Appena ritornata, disse al padre:

— Il letto dello zio, che è il migliore, va bene [p. 7 modifica]per te, gli altri, se non sono molto soffici, non importa, noi siamo giovani e non abbiamo bisogno di tante ricercatezze.

E il padre acconsentì, contento di farsi dare i suoi giorni di permesso durante l’autunno, per fare un po’ di campagna.

Maria, nei momenti di calma, pensava a quei due mesi d’autunno, come ad una festa.

I ragazzi, stando all’aria aperta in libertà, avrebbero acquistata tanta salute; intanto essa avrebbe anche fatto delle economie. In quel pezzo di terra davanti alla casa dove lo zio coltivava i suoi fiori, essa s’era contentata di conservare qualche rosaio presso la porta d’ingresso, ma avea fatto piantare, nel resto del campo, cavoli, fagiuoli, piselli, patate, pomidoro, prezzemolo, insalatina e tutta la verdura che sarebbe bisognata per la casa, e quella verdura s’era offerto a coltivargliela un vicino; così non avea spese: poi al villaggio tutto era più a buon mercato che in città; insomma essa era felice di questo suo disegno. Era soltanto preoccupata degli studii dei suoi fratelli, perchè, se dovevano ripetere gli esami, allora addio campagna! avrebbe forse dovuto rinunciarvi, e a quel pensiero si sentiva stringere il cuore.