Per me giaceasi appesa

Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Letteratura Intestazione 28 luglio 2023 75% Da definire

Certo è che al nascer mio, non come ignoto Se allor che fan ritorno
Questo testo fa parte della raccolta Canzoni eroiche di Gabriello Chiabrera


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LXXVIII

Quando si conquistarono le galere Capitana e Patrona di Amuratto nei mari di Negroponte, fecersi duecentonove schiavi Turchi, franchi quattrocentoventi Cristiani.

XI

Per me giaceasi appesa
     La cetra, onde si gloria
     La nobile armonia del gran Tebano:
     Ma sul mare alta impresa,
     5E novella vittoria
     Fa che ben pronto a lei stenda la mano,
     E varie corde a risvegliar mi tira,
     Soavi lingue dell’Aonia lira.
Begli orti, aurati tetti
     10(Ben chiaro oggi si vede)
     Non quetano, re d’Arno, i tuoi desiri;
     Ma fin de’ tuoi diletti
     È d’onor farsi erede,
     A cui l’altrui vaghezza indarno aspiri;
     15E così di virtù correre i campi,
     Che orma a te da vicino altri non stampi.
Ecco all’Egéo d’intorno
     Spandono monti e lidi
     Gioconde voci ad ascoltar non use.
     20Dobbiam dunque in tal giorno
     Al suon di tanti gridi
     Non rinchiuder le labbra, inclite Muse,
     Ma tender archi, e far volare, o Dive,
     Per l’Italico ciel saette Argive.
25Correan cerulee strade
     D’Ottoman stuoli armati,
     Per ira a rimirarsi orridi in faccia,
     E con ritorte spade,
     Le terga faretrati,
     30Già faceano all’Italia aspra minaccia,
     Condennando, ebbri di fallace speme,
     I nocchier nostri alle miserie estreme.
Udían nostre querele,
     E di nostro cordoglio
     35Faceano immaginando il cor contento.
     Ma popolo crudele
     Non sa, che umano orgoglio
     Suole aver da vicino il pentimento;
     E che nell’alto dal monarca eterno
     40I superbi pensier prendonsi a schierno.
Rideano, ed improvviso
     Ecco prore Tirrene
     Ai venti care e non men care all’onde:
     Quinci, sbandito il riso,
     45Trasser dure catene
     Quegli empj, di Livorno in sulle sponde;
     E crebber lagrimando alteri pregi
     D’Arno vittorïoso ai Duci egregi.
D’augelli infra le piume,
     50Quale è d’aquila il morso,
     O qual de’ pesci entro i salati regni
     Delfino ha per costume
     Far strazio: tale in corso
     Del magnanimo Cosmo or sono i legni;
     55O qual d’orrida tigre ed unghia e denti
     Fra la viltate de’ vellosi armenti.

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Di piaghe alcun non dica;
     Che bella rimembranza
     D’un trofeo raddolcisce anco la morte;
     60Ed è parola antica,
     Che col sangue s’avanza
     Chi nell’armi desía nome di forte;
     E sa ciascun, che i cavalier sublimi
     Son tra gli assalti a trovar morte i primi.