Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Poemetti Letteratura Per S. Agnese Intestazione 20 novembre 2023 75% Da definire

Per S. Margherita La Giuditta I
Questo testo fa parte della raccolta Poemetti di Gabriello Chiabrera
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X

PER S. AGNESE

AL SIG. GIO. BATTISTA SERRATO.

     O care, e di Parnaso alme donzelle,
Sacrate Muse, non in van diceste,
Ch’all’antico Orïon torbide nubi
Fallace immago a rimirar si diero
5Sotto sembianza di Giunon celeste;
Io veramente in sul fiorir degli anni,
Età non saggia, in poetar soffersi,
Or me n’avveggio, così fatti inganni:
Allor credei mirar vostre bellezze
10Veracemente, e pure il guardo apersi
Non in voi no, ma simulato aspetto
Ebbi a mirar del vostro viso ardente,
Mercè ben degna delle mie sciocchezze.
Or sciocchezza non è fermarsi in mente
15Esser nel vostro Coro, ed udir note,
Onde possa oltraggiarsi alma onestate?
E volersi vantar d’esser seguace
De’ vostri passi, e camminar per via,
Che non ci sa condur salvo a viltate?
20I saggi antichi v’appellaro, o Dive,
Vergini pure, e se volgesse il core
Lo stuol, che verso Pindo oggi s’invia,
A questo detto, di più nobil corde
Armerebbe la cetra, e i pregi eccelsi
25Ei prenderebbe di cantar diletto.
Io lor tralascio, e le vestigia antiche
Più non calpesto: le bellezze eterne
Or sien mia cura; e te fra l’altre, Agnese,
Con nuovi carmi a celebrar m’appresto.
30Costei del Tebro in sulle belle sponde,
Come cipresso in sul Sïon crescea,
O buon Serrato, e di beltà siccome
Siepe di rose in Gerico splendea:
Ma su per l’alto Olimpo, ove non vola
35Amor di plebe, a ritrovarsi sposo
D’alti pensieri ella spiegò le penne;
Nè frale pompa, ne mortal tesoro
Unqua mirò; nè d’infiammato amante
O preghi, o pianti d’ascoltar sostenne.
40Quinci d’aspro Signor nel crudo petto
Ira svegliossi, ed ei le diede assalto,
Perch’ella al sommo Dio rompesse fede
Ed a gl’Idoli inferni ardesse incensi.
Ma come quercia, che sospinse in alto
45L’aeree cime, e giù dell’alpe in fondo
Lungo tempo mandò salde radici,
Disprezza il minacciar delle tempeste,
Cotale Agnese ebbe i nemici a scherno,
E durò ferma nel pensier celeste.
50Che non tentava allor l’empio Tiranno?
Che non tentava? a giovenil vaghezza
In preda diè le belle membra oneste.
Ma giù dall’alto ciel, milizia eccelsa,
Angelo corse, e fe’ veder palese
55Quanto candido cor per Dio s’apprezza.

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Vibrò sdegnoso il cavalier superno
La spada invitta, e, l’adunate torme
In sulla terra sanguinosa sparse.
Così disperder suol pinte anitrelle
60Regio falcon; ma non per tanto in ira
Sorse più grande il fier Tiranno, ed arse.
Tigre via men, che depredar si mira
Il natío speco dal terribil petto
Fremiti innalza; ei di venen cosparse
65Ambe le gote i torbidi occhi gira,
E che ne venga il fier ministro ei grida.
A cotal voce serenava Agnese
L’inclita fronte, e s’offeria gioconda
Allo spietato acciar, perch’ei l’ancida.
70Chi vide mai, quando Orïon commove
Nel mar procella, e che rimugghia il cielo,
Entrar lasso nocchier nei patrj porti?
Ei dal cor, che pur dianzi era di gelo
Sgombra la tema, e torna lieto il ciglio,
75E sulla fronte l’allegrezza avviva;
Così l’altiera Vergine sorrise
Per la minaccia del mortal periglio.
Le belle ciglia vêr le stelle innalza
Piene di gaudio, e ne i sembianti appare
80L’anima forte; indi i ginocchi in terra
Piega umilmente, e rende grazie al Cielo
Per l’alto don della bramata morte:
Qui recatesi al petto ambe le palme
Il collo stende, e della cruda accetta
85Immobilmente la percossa attende.
Nè molto attese, che calando il colpo
Fe’ scemo il busto della nobil testa;
Ed ecco disgorgò con larga vena
Un vermiglio ruscel dal collo eburno
90Tepidamente, e le gelate membra
Si riposaro in sulla secca arena:
Ma l’anima gentil prendendo un volo
Sprezzò la terra, e sull’Olimpo ascese
A gioir dell’eterna aura serena.