Per S. Agnese
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PER S. AGNESE
AL SIG. GIO. BATTISTA SERRATO.
O care, e di Parnaso alme donzelle,
Sacrate Muse, non in van diceste,
Ch’all’antico Orïon torbide nubi
Fallace immago a rimirar si diero
5Sotto sembianza di Giunon celeste;
Io veramente in sul fiorir degli anni,
Età non saggia, in poetar soffersi,
Or me n’avveggio, così fatti inganni:
Allor credei mirar vostre bellezze
10Veracemente, e pure il guardo apersi
Non in voi no, ma simulato aspetto
Ebbi a mirar del vostro viso ardente,
Mercè ben degna delle mie sciocchezze.
Or sciocchezza non è fermarsi in mente
15Esser nel vostro Coro, ed udir note,
Onde possa oltraggiarsi alma onestate?
E volersi vantar d’esser seguace
De’ vostri passi, e camminar per via,
Che non ci sa condur salvo a viltate?
20I saggi antichi v’appellaro, o Dive,
Vergini pure, e se volgesse il core
Lo stuol, che verso Pindo oggi s’invia,
A questo detto, di più nobil corde
Armerebbe la cetra, e i pregi eccelsi
25Ei prenderebbe di cantar diletto.
Io lor tralascio, e le vestigia antiche
Più non calpesto: le bellezze eterne
Or sien mia cura; e te fra l’altre, Agnese,
Con nuovi carmi a celebrar m’appresto.
30Costei del Tebro in sulle belle sponde,
Come cipresso in sul Sïon crescea,
O buon Serrato, e di beltà siccome
Siepe di rose in Gerico splendea:
Ma su per l’alto Olimpo, ove non vola
35Amor di plebe, a ritrovarsi sposo
D’alti pensieri ella spiegò le penne;
Nè frale pompa, ne mortal tesoro
Unqua mirò; nè d’infiammato amante
O preghi, o pianti d’ascoltar sostenne.
40Quinci d’aspro Signor nel crudo petto
Ira svegliossi, ed ei le diede assalto,
Perch’ella al sommo Dio rompesse fede
Ed a gl’Idoli inferni ardesse incensi.
Ma come quercia, che sospinse in alto
45L’aeree cime, e giù dell’alpe in fondo
Lungo tempo mandò salde radici,
Disprezza il minacciar delle tempeste,
Cotale Agnese ebbe i nemici a scherno,
E durò ferma nel pensier celeste.
50Che non tentava allor l’empio Tiranno?
Che non tentava? a giovenil vaghezza
In preda diè le belle membra oneste.
Ma giù dall’alto ciel, milizia eccelsa,
Angelo corse, e fe’ veder palese
55Quanto candido cor per Dio s’apprezza.
Vibrò sdegnoso il cavalier superno
La spada invitta, e, l’adunate torme
In sulla terra sanguinosa sparse.
Così disperder suol pinte anitrelle
60Regio falcon; ma non per tanto in ira
Sorse più grande il fier Tiranno, ed arse.
Tigre via men, che depredar si mira
Il natío speco dal terribil petto
Fremiti innalza; ei di venen cosparse
65Ambe le gote i torbidi occhi gira,
E che ne venga il fier ministro ei grida.
A cotal voce serenava Agnese
L’inclita fronte, e s’offeria gioconda
Allo spietato acciar, perch’ei l’ancida.
70Chi vide mai, quando Orïon commove
Nel mar procella, e che rimugghia il cielo,
Entrar lasso nocchier nei patrj porti?
Ei dal cor, che pur dianzi era di gelo
Sgombra la tema, e torna lieto il ciglio,
75E sulla fronte l’allegrezza avviva;
Così l’altiera Vergine sorrise
Per la minaccia del mortal periglio.
Le belle ciglia vêr le stelle innalza
Piene di gaudio, e ne i sembianti appare
80L’anima forte; indi i ginocchi in terra
Piega umilmente, e rende grazie al Cielo
Per l’alto don della bramata morte:
Qui recatesi al petto ambe le palme
Il collo stende, e della cruda accetta
85Immobilmente la percossa attende.
Nè molto attese, che calando il colpo
Fe’ scemo il busto della nobil testa;
Ed ecco disgorgò con larga vena
Un vermiglio ruscel dal collo eburno
90Tepidamente, e le gelate membra
Si riposaro in sulla secca arena:
Ma l’anima gentil prendendo un volo
Sprezzò la terra, e sull’Olimpo ascese
A gioir dell’eterna aura serena.