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del chiabrera 265

Vibrò sdegnoso il cavalier superno
La spada invitta, e, l’adunate torme
In sulla terra sanguinosa sparse.
Così disperder suol pinte anitrelle
60Regio falcon; ma non per tanto in ira
Sorse più grande il fier Tiranno, ed arse.
Tigre via men, che depredar si mira
Il natío speco dal terribil petto
Fremiti innalza; ei di venen cosparse
65Ambe le gote i torbidi occhi gira,
E che ne venga il fier ministro ei grida.
A cotal voce serenava Agnese
L’inclita fronte, e s’offeria gioconda
Allo spietato acciar, perch’ei l’ancida.
70Chi vide mai, quando Orïon commove
Nel mar procella, e che rimugghia il cielo,
Entrar lasso nocchier nei patrj porti?
Ei dal cor, che pur dianzi era di gelo
Sgombra la tema, e torna lieto il ciglio,
75E sulla fronte l’allegrezza avviva;
Così l’altiera Vergine sorrise
Per la minaccia del mortal periglio.
Le belle ciglia vêr le stelle innalza
Piene di gaudio, e ne i sembianti appare
80L’anima forte; indi i ginocchi in terra
Piega umilmente, e rende grazie al Cielo
Per l’alto don della bramata morte:
Qui recatesi al petto ambe le palme
Il collo stende, e della cruda accetta
85Immobilmente la percossa attende.
Nè molto attese, che calando il colpo
Fe’ scemo il busto della nobil testa;
Ed ecco disgorgò con larga vena
Un vermiglio ruscel dal collo eburno
90Tepidamente, e le gelate membra
Si riposaro in sulla secca arena:
Ma l’anima gentil prendendo un volo
Sprezzò la terra, e sull’Olimpo ascese
A gioir dell’eterna aura serena.

XI

LA GIUDITTA

AL SERENISSIMO GRAN DUCA DI TOSCANA

COSIMO II.

     Mentre, intento a calcar l’orme paterne,
Di glorïosi esempi a te fai sproni
Per altissimo calle, e non mai stanco,
Di mille chiari raggi il crin coroni,
5Cosmo, dell’alme Muse attendi al canto.
Elle non di vil riso, o di vil gioco
Bugiarda istoria recheranti a mente,
Ma di Giuditta il memorabil vanto:
Udrai nomar Gerusalem sovente,
10Per cui salute i tuoi Loreni altieri
In su dorato arcion lungo il Giordano
Guerreggiando vibraro asta possente;
Or fatta è preda di rei mostri e fieri,
Sommo scorno e dolor di nostra etate:
15Ma dal profondo uscir di tanti affanni
Per la tua destra è gran ragion che speri;
Che come di quegli empj in guerra avvenne,
Così verrà degli Ottoman Tiranni:
Già fiero in mezzo lor batte le penne
20Il vostro nome, e per l’Egizie rive,
E per lo sen dell’Anfitrite Egea
È noto il volo delle vostre antenne:
Nè vaglia dir, ch’han sì possente il Regno
Fu sì fatto il valor d’una Giuditta,
25Che degli Assirj il Re poco il sostenne.
Or vieni, Euterpe, con eterea lira,
E dimmi l’opra che nel cielo è scritta.
Poichè allo scampo delle patrie mura
Giuditta volse il cor, se n’usci fuora
30Con un’ancella per la notte ombrosa:
E già con aurea man la bianca Aurora
Spargea nembi di rose in Orïente,
Quando desto drappel d’Assiria turba,
Che a ben spiar l’ampia campagna attende,
35Lunge dall’alta Donna il cammin sente;
Fisa lo sguardo Agitercano, e dice:
Cosa muove colà, che si risplende?
Mira Arfasatto, e l’alta Donna ei scerne,
Scernela, e pienamente egli nol crede:
40Di nuovo aguzza il guardo, e in dubbio stassi;
Parla alfin: Donna è, che colà si vede
Indi co’ suoi l’appressa, e le dicea:
Peregrina, onde viensi? ed ove vassi?
Ella posatamente: Io sono Ebrea,
45Per mia salute di Betulia fuggo;
Quinci devota ad Oloferne io vegno,
Ed appianando il varco a’ suoi desiri
Darògli in forza d’Israelle il regno.
A queste voci quel ministro: Avviso
50Ben consigliata al mio Signor venirne,
Tanto d’amarsi, e di servirsi è degno.
Poi con quel vivo Sol di leggiadría
Verso il reale padiglion trapassa:
Cede la guardia, ch’ha di lui contezza,
55Ed egli entrato umile il capo abbassa,
E tutto riverente indi favella:
Donna fuor di Betulia uscío soletta,
E sopra il campo Ebreo t’offre vittoria,
Se tua grandezza udir non si disdegna,
60Ella piano farà, come il prometta.
Piega Oloferne, e con la fronte accenna,
Ch’ella s’adduca: Agitercan la chiama,
Ed ella move. A quella luce viva,
A quel fulgor delle serene ciglia,
65A quelle chiome, a quelle labbra ardenti,
A quella con albor guancia rosata
Ingombrossi ogni cor di meraviglia.
Come se cinta d’arco i crin lucenti
Move l’Ancella di Giunon, vêr lei
70Rozzo contadinello i guardi gira,
Cotale di stupor s’empie Oloferne
Per l’altiera bellezza peregrina,
Tosto, che a se dinanzi ei la rimira.
Ma Giuditta ove andando ebbe da presso
75L’alta sede, ove il barbaro dimora,
Pon le ginocchia in sulla terra, e piega
La testa, e scaltra il gran nemico adora;
Ed egli impon, ch’ella s’innalzi, e dice:
Sgombra ogni rio pensiero; archi, quadrella
80A te di paventar non dian cagione,
O saggia, e leggiadrissima donzella:
Ma dimmi, qual vaghezza il cor ti prese,
Che a’ nostri campi volontaria vieni?
Tacquesi a tanto; e con lo sguardo ingordo